I cappellani militari

“L’inutile strage”, così Benedetto XV definì il primo agosto del 1917, in una lettera scritta ai capi delle nazioni belligeranti, quel micidiale urto di uomini e mezzi che fu la prima guerra mondiale. E la prima guerra mondiale fu, come del resto lo sono tutte le guerre, una inutile strage ed un “immane flagello”, un’ “immane carneficina”, piena di “inenarrabili orrori”: in tutto e per tutto una “lotta fratricida” tra cristiani, per usare ancora i pesanti aggettivi di Benedetto XV. Solo che poi, gli uomini, che non nascono buoni e che tali non sono in natura (per quella “vecchia storia” del peccato originale), le guerre le fanno, le hanno sempre fatte e, purtroppo, sembra che continueranno a farle. Questa premessa, dopo il ricordo dell’appello di Benedetto XV, per ragionare di un bizzarro articolo di Gianfranco Ravasi pubblicato sul domenicale del sole 24 ore dello scorso 25 luglio. Perché bizzarro? Ma perché Ravasi, in una pagina dove si affronta il nodo della prima guerra mondiale e il clima culturale e politico che la scatenò, parte dalle parole di Benedetto XV sulla guerra e finisce col prendersela con i cappellani militari, con le preghiere dei soldati, una lunga serie, la chiama Ravasi, «di preghiere del fante, dell’alpino, del marinaio, dell’aviere che sono state in uso nella prima guerra mondiale fino a non molti anni fa: testi enfatici – continua Ravasi – segnati da un patriottismo pomposo e da un nazionalismo gretto».

Ma non basta, Ravasi depreca anche il fatto che malgrado l’appello papale alla pace, “si assisteva alla benedizione di bandiere, vessilli, gagliardetti, truppe e persino armi e in certe chiese si levavano suppliche non tanto per la pace, quanto per la vittoria». Ravasi, bontà sua, fa una sola concessione «D’altra parte – scrive – i pastori non potevano distaccarsi dai loro fedeli che si avviavano a morire». Ora, perché questo ragionamento appare bizzarro? Ma perché non c’è un filo logico che tiene insieme l’invito alla pace di un Papa e l’assistenza spirituale dei cappellani militari al fronte di guerra. E nemmeno con la benedizione dei vessilli, delle armi e delle bandiere, che è una pratica molto antica e sacralizza, umanizzandolo, un evento come quello guerresco che altrimenti, senza un crisma, avrebbe solo un aspetto bestiale e maledetto. Questo cancella l’orrore della guerra? Certo che no. Ma quantomeno fino a qualche tempo fa cercava di inquadrare questa maledizione, che comunque sempre tale resta, dentro una cornice cavalleresca ed un quadro di valori fondati ad esempio su l’onore e la fedeltà, l’amor di patria e della propria gente ecc. ecc.. Ma non si pretende che Ravasi, per la sua formazione culturale, possa comprendere la metafisica della guerra: che è sempre una cosa feroce, come spesso lo è la vita. Ma che, come si diceva all’inizio gli uomini non hanno mai saputo eliminare dal loro orizzonte. Proprio perché uomini, creature limitate e oscurate dal peccato originale. Ma c’è anche una precisazione storica da fare. Con l'occupazione di Roma nel 1870 e con le conseguenti leggi anticlericali si aprì un periodo di crisi nei rapporti tra il nuovo Stato e la Chiesa cattolica: il numero dei cappellani fu ridotto fino alla quasi completa eliminazione. Così per la guerra d'Eritrea (maggio 1896) il servizio religioso ai militari italiani fu garantito dalla volontaria assistenza dei padri Cappuccini che restarono presenti ancora sui campi di battaglia, assieme ad altri sacerdoti diocesani, per la guerra di Libia (1911). Fu il papa Pio X, che pure si espresse contro la guerra, che denunciò quella situazione che, «offende l'anima cristiana del popolo italiano», auspicando che le Autorità di governo del tempo consentissero ai sacerdoti di esercitare il ministero in così gravi frangenti e proprio quando dei connazionali erano nell’estremo pericolo. E così il 12 aprile 1915, alla vigilia dell'entrata in guerra dell'Italia, il generale Cadorna firmò una circolare per il ripristino dei cappellani militari e con il Decreto Luogotenenziale del 27 giugno 1915 si nominò un Vicario Castrense, Mons. Angelo Lorenzo Bartolomasi, che ricevette le prerogative di Vescovo Ordinario. I sacerdoti chiamati alle armi, destinati all’assistenza spirituale ai soldati furono molti e molti di loro tennero un comportamento eroico e vennero anche decorati.

È perciò ingiusto, oltre che di pessimo gusto, non riconoscere loro la dignità e il valore che ebbero.

In quella vicenda, come in tutte le altre che videro impegnati i cappellani militari assistere nella buona e nella cattiva sorte i nostri militari su tutti i fronti di guerra. Ed è per questo che vogliamo ricordare che 95 anni fa venivano istituiti i Cappellani Militari. La Chiesa cattolica ha sempre cercato di provvedere alla cura spirituale dei militari. La guerra lascia segni permanenti negli uomini, deforma non solo i legami tra fratelli e tra nazioni, ma sfigura anche i soldati che sono testimoni delle atrocità causate dai conflitti. I cappellani accompagnano i soldati in ogni scenario. Essi accompagnano il personale militare in ogni situazione e scenario. I cappellani sostengono i soldati nelle loro attività quotidiane e sono pronti, in ogni momento, a rispondere alle loro esigenze spirituali. Li aiutano anche nella comprensione di valori prioritari, quali la centralità della persona umana e il bene comune del Paese nel quale i contingenti sono dislocati. I cappellani sono fedeli evangelizzatori della verità della pace, espressione concreta di questa cura pastorale nei confronti dei soldati. I soldati sono chiamati a diventare esempi di speranza cristiana, che è certezza della vittoria dell’amore sull’odio e della pace sulla guerra. Che i cappellani militari possano essere sempre luce per i tanti uomini e donne in divisa, sia in tempi di pace, sia in tempi di guerra.

 

Riccardo PEDRIZZI

www.riccardopedrizzi.it