I Cattolici e la politica

E' ripreso in questi ultimi tempi il dibattito sul ruolo dei cattolici in politica, recentemente richiamato e sollecitato anche dal Santo Padre, Francesco. Oggi più che mai viviamo una contingenza storica nella quale sono in gioco atti, decisioni e atteggiamenti che vanno ad incidere sulla vita di ciascuno di noi, dei nostri figli e della intera società. Si ripropone cioè la vecchia questione dell'impegno del cristiano in politica e del ruolo pubblico del cristianesimo.
In poche parole, il problema del rapporto tra fede e politica.
Questione, peraltro, che già si era posta in maniera drammatica durante il predominio democristiano nel corso del quale politici che si definivano cristiani si resero conniventi nel varo delle leggi sul divorzio e sull'aborto. In particolare sul tema dell'aborto allora i democristiani scelsero di non fare la battaglia antiabortista con tutti i mezzi a disposizione, ma di limitarla alla sede parlamentare, rispettando i tempi delle procedure e garantendo il voto finale prima della data fissata per il referendum, che temevano sommamente. Dal suo canto il governo, formato da tutti ministri democristiani, proclamò la sua neutralità, dichiarando estranea alla politica una scelta che in fondo avrebbe riguardato la vita e la morte di centinaia di migliaia di esseri umani.
Tutto quel che è successo dopo ha dimostrato se fossero o meno giuste e coerenti con una fede matura e vissuta quelle posizioni e quelle scelte: da allora la Dc non esiste più e la presenza politica dei cattolici nella società italiana si è drasticamente ridimensionata.
Per questo oggi è necessario per i cattolici rivendicare un proprio ruolo ed una propria visibilità nell'attuale momento storico, facendo una volta per tutte chiarezza su alcuni punti.
Dinanzi, infatti, alla pretesa laicista di relegare sbrigativamente nel «religioso» il cristiano e di fronte al pericolo di un pluralismo indifferente che serpeggia anche nello schieramento di centrodestra, occorre ridare al più presto sostanza e contenuti ad un progetto politico che, partendo dalla fede, proponga una sua concezione dell'uomo, della storia e della società. Ciò significa innanzitutto che non ogni scelta politica è coerente e lecita per un credente. E poiché la politica tocca e coinvolge l'uomo come principio e come esito, il cristiano che si propone di fare politica, che fa politica, deve necessariamente disporre di una filosofia dell'uomo. Che non può, né soggettivamente né oggettivamente, distaccarsi dall'insegnamento del Vangelo. Evitando lo scoglio del fideismo, da una parte, e la pratica della neutralità della ragione, dall'altra, il cristiano deve sapere che la fede è capace di suscitare e rafforzare il frutto della ragione, che è la filosofia e la politica.
Da ciò discende che un impegno sociale efficace e fecondo non sarà possibile senza la ricerca e l'affermazione della verità sull'uomo e dell'uomo. Ma se questa verità non venisse ricercata ed affermata totalmente, se un'antropologia, cioè la dottrina sull'uomo, non esprimesse tutti i valori e non investisse tutti gli ambiti e gli aspetti della vita dell'uomo, si avrebbe come esito inevitabile «la mortificazione dell'uomo stesso, e non sarebbe possibile attuare una società a misura d'uomo e secondo il piano di Dio». E necessario perciò che il cristiano superi quel complesso di inferiorità creatogli dall'Illuminismo in base al quale la fede sarebbe conflittuale e concorrenziale con la ragione. Tra fede e ragione vi è differenza, ma non alternatività, ed è proprio alla luce della prima che il cristiano conosce l'uomo nella sua pienezza e costruisce un'antropologia non neutra o dimezzata o ad una dimensione. A questa visione dell'uomo il cristiano deve conformare la sua azione politica. Senza rassegnazione e senza compromessi che possano significare cedimenti o mimetizzazioni sulla propria verità dell'uomo.
«Esiste, deve esistere, una unità fondamentale che viene prima di ogni pluralismo e che consiste nella fedeltà alla verità intera sull'uomo», scrisse anni fa Inos Biffi, «nei confronti di questa, nessun pluralismo è legittimo, e non possono essere legittime scelte e determinazioni che equivarrebbero ad una rinuncia alla propria specificità cristiana». L’ambito di opinabilità o di libera opzione dei credenti incomincia dopo questa identità e comunione: nel campo che potremmo dire «partitico», ma inteso il «partito» come diversa coniugazione di una identica antropologia costitutiva della Città terrena. L’unità dei cristiani su questa verità non ammette dissociazioni   come quelle dei politici che si dicono cattolici solo nel privato - né separazioni tra teoria e prassi, perché la fede sa, e deve, determinare ed informare l'attività politica.

Se ciò non avvenisse   come capitò per i politici democristiani che furono conniventi nel varo delle leggi sul divorzio e sull'aborto   il cristiano si renderebbe clandestino, si mostrerebbe indifferente, si mimetizzerebbe e tornerebbe nelle catacombe, diventando complice dell'aggressione all'avvenimento cristiano. Con il gradimento e l’applauso dei laicisti di tutte le risme, che da sempre hanno tentato di sciogliere i legami della fede con la storia, lasciando questa aperta a tutte le eventualità e a tutti gli esiti. Anche i più tragici.
Purtroppo, però, dobbiamo sempre più spesso registrare che anche qualche esponente della gerarchia ecclesiastica pensa che i cattolici “parlano troppo” e vorrebbe che non reagissero, lasciassero che le idee del relativismo più spinto, del radicalismo più pericoloso e del materialismo più aggressivo si diffondessero senza qualcuno che controbatta, che resista.
Si chiede, cioè, di non confondere fede e vita pubblica, in quanto l'appartenenza religiosa non dovrebbe dare luogo a un'automatica reazione sociale e politica, ma meriterebbe “più riflessione e discernimento”. Non prese di posizioni forti, quindi, del tipo family days e mobilitazione delle parrocchie e dei movimenti.
Qualche autorevole esponente della chiesa cattolica per giunta ha la pretesa di mettere a tacere i cattolici “per il loro bene”, in questo contraddicendo non questa o quella scuola di pensiero, più o meno ortodossa che pur alligna nella Chiesa, ma addirittura il Santo Padre. Il quale, anche recentemente, ha invitato i cattolici a dare testimonianza della loro fede, a praticarla, a tradurla nelle scelte e nelle posizioni da prendere nella vita ...«Non si può più affermare che la religione deve limitarsi all'ambito privato e che esiste solo per preparare le anime per il cielo. - ha scritto S. S. Francesco - Sappiamo che Dio desidera la felicità dei figli anche su questa terra, benché siano chiamati alla pienezza eterna, perché Egli ha creato tutte le cose perché possiamo goderne, perché tutti possano goderne»... «Nessuno può esigere da noi che releghiamo la religione alla segreta intimità delle persone, senza alcuna influenza sulla vita sociale e nazionale, senza preoccuparci per la salute delle istituzioni della società civile, senza esprimersi sugli avvenimenti che interessano i cittadini... Una fede autentica - che non è mai comoda e individualista - implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra. ...Sebbene il giusto ordine della società e dello Stato sia il compito principale della politica», la Chiesa «non può né deve rimanere ai margini della lotta per la giustizia». (da “Evangelii gaudium”, S. S. Papa Francesco, Roma 24/11/2013).
Avviene, cioè, con sempre maggiore frequenza che persino qualche “principe della Chiesa” - come si chiamavano una volta - vorrebbe separare la vita, e quindi la cultura, la scienza e anche la politica dalla fede. Vorrebbe frantumare cioè quella unità a cui il vero cristiano deve tendere.
L'idea infatti che i cattolici debbano astrarsi dall'azione politica non sta né in cielo ne in terra. La Chiesa sa bene che il passaggio tra il piano dottrinale e quello pratico presuppone mediazioni che sono di natura politica, sociale, economica e culturale. Ed i laici che non intendono rinunciare al loro essere cattolici in ogni ambito della vita hanno dunque il compito di calare nella realtà il messaggio evangelico.
Qualche Vescovo non ha simpatia per queste idee? Ce ne faremo una ragione. Deve però sapere che la posizione dei cattolici veri è questa: si può contestarla, ci mancherebbe altro, solo che si dovrebbe evitare di porsi nella posizione davvero ridicola di persone che spesso dicono di parlare “per il bene della Chiesa”.
La verità è che questa prudenza un po' pavida e un po' ignava si fa usbergo della laicità e della moderazione per non prendere posizione e quindi per “accomodarsi” secondo opportunità e convenienze. Irritano qualcuno all'interno del mondo cattolico le contrapposizioni fra chi difende la vita e la famiglia e chi pretende che i diritti, meglio i desideri del singolo, non abbiano limiti (la teoria del gender, ad esempio) tra chi sostiene il primato dell'etica e chi quello della scienza e della tecnica.
Di fronte a questi esempi preferiamo persino chi, almeno, ha il coraggio e la coerenza di schierarsi sul fronte avversario laicista, radicale e libertario. Sono degli avversari politici e dei nemici culturali, però, loro, che sono nell'errore e per noi anche nel peccato, almeno non sono degli ignavi.

Riccardo Pedrizzi