La dottrina cattolica in tema di libertà ed autorità

La situazione religiosa in Italia attraversa difficoltà, squilibri e tensioni che non possono essere sottovalutati e che richiedono un esame approfondito ed, alle volte, anche doloroso.

Innanzitutto vanno riaffermati alcuni principi, che sono costitutivi per la vita della Chiesa cattolica; e vanno ribadite alcune tesi di fondo che se venissero messe in sordina altererebbero lo stesso “depositum fidei” cattolico; va ribadita in particolare la tradizionale dottrina cattolica in tema di libertà ed autorità.

Nello stesso tempo vanno respinte, nel senso inteso ai nostri giorni, “le due parole d'ordine dell'epoca moderna”, libertà e socializzazione, cosi come vengono intese ai nostri giorni.

“Da una parte, infatti, si è assolutizzata la libertà del soggetto, sganciandola da ogni riferimento che non fosse la libertà stessa, aprendo cosi la strada a un indiscriminato individualismo e facendo ritenere ogni forma di norma morale o di regola sociale un'insopportabile imposizione. Dall'altra parte, la giusta esigenza di socializzazione, non regolata dal rispetto della dignità inalienabile di ogni persona umana quale immagine di Dio, ha dato vita a quelle forme di totalitarismo di diverso e persino opposto segno, da cui dolorosamente è stata – ed è – piagata la storia del nostro secolo” (Cfr. Documento “Comunione, comunità e discipline ecclesiale” della CEI in data 01/01/1989).

E cosi l'uomo, da un canto, si svincola da ogni norma morale e da tutti i precetti divini, pretendendo di praticare il più sfrenato pluralismo delle idee che spesso si trasforma “in relativismo che giustifica ogni tipo di opzione”, dimenticando che la norma suprema dell'agire umano è la legge di Dio e che la coscienza ha bisogno di una bussola orientatrice, dall'altro viene sempre più schiacciato dalla civiltà massificata, che anche nelle società cosiddette liberali è regolata dalle anonime leggi del mercato e del profitto.

Categorie, queste della libertà e della socializzazione cosi intese, dunque, che dovrebbero essere rifiutate da ogni cristiano che, viceversa, deve avere come termine di paragone e come esempio solamente Cristo, la sua condotta di vita ed i suoi insegnamenti: “Egli è l'uomo della libertà e, contemporaneamente, è l'uomo dell'obbedienza” Gesù è l'uomo libero; di quella libertà che mostra di avere nei confronti delle consuetudini sociali e culturali... di quella libertà dalle cose, dagli uomini, da se stesso... Ma anche – anzi proprio per questo – Gesù è l'uomo della perfetta obbedienza a Dio... è anche osservante delle leggi del suo popolo; frequenta la sinagoga... polemizza contro il ritualismo e il formalismo, ma non conclude con l'abolizione delle osservanze rituali e disciplinari... Infine, in virtù della perfetta obbedienza resa al Padre nell'adempimento della sua missione, Gesù diviene, attraverso il mistero della sua Pasqua di morte e resurrezione, causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono”.

Di questa missione e di questo potere in cielo ed in terra Cristo rende partecipi gli apostoli, conferendo loro la sua autorità messianica: “andate e ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto quello che io vi ho comandato”... “Come il Padre ha mandato me anch'io mando voi”.

Da ciò deriva che “l'autorità nella Chiesa ha il dovere di impartire delle norme e quindi il diritto di esigere l'obbedienza”.

In verità anche il Concilio aveva “riaffermato che la comunione ecclesiale si esprime in una comunità visibile e ordinata da una sua propria disciplina di vita e di governo. “La società costituita di organi gerarchici e il corpo mistico di Cristo, la comunità visibile e quella spirituale – scrive la “Lumen Gentium” - non si devono considerare come due cose diverse, ma formano una sola complessa realtà”; oggi si assiste invece ad una vera e propria ecclisse dell'autorità o, come la definiva Rosario Amerio, ad una “desistenza dell'autorità”.

Manifestazioni eclatanti di questa “desistenza” è rappresentato dall'aggressione agli insegnamenti del Magistero della Chiesa e della trasgressione selvaggia in tema di fede e morale, che in certe occasioni, come nel caso della “Humanae vitae”, assume dimensioni veramente preoccupanti.

La crisi dell'autorità ha come logica conseguenza l'incertezza delle norme e la flessibilità del diritto, e quindi l'allontanarsi delle verità di fede ed il venir meno di ogni prescrizione e di tutte le sanzioni.

“Cosa significa concretamente, osservare i comandamenti del Signore? E' forse possibile aderire alla parola di Dio senza aderire alle norme morali, ma anche disciplinari e pastorali?

Purtroppo molto spesso anche i cristiani sogliono sollevare obiezioni alle norme morali e disciplinari della Chiesa in nome di una presunta “voce della coscienza”, che li esimerebbe, “purché in buona fede”, dall'osservare i precetti. Eppure bisognerebbe dire e precisare che “l'appello alla coscienza risulta non di rado viziato dal soggettivismo: di qui il rifiuto di ogni altra norma che non sia il soggetto stesso. A sua volta il soggettivismo è insieme frutto e segno dell'assolutizzazione della libertà, interamente spogliata di una autentica responsabilità”.

Scrive Amerio nel suo in “Iota Unum” (Edizione Riccardo Ricciardi in data 1985), criticando coloro che nel dopo Concilio, riducendo la morale al puro giudizio soggettivo, avevano introdotto il concetto della cosiddetta “morale di situazione”: “Non è possibile che le radici della morale umana siano nell'uomo che non è un essere radicale e non può quindi essere radice di morale. La morale infatti è un ordine assoluto e l'uomo invece un ente contingente e relativo cui l'assoluto è presente e si impone, ma non ha certo le proprie radici in lui. In secondo luogo non è possibile che la legge morale germogli dalla coscienza, perché la coscienza è l'io e la legge è l'altro. Il vocabolo stesso di coscienza annuncia irrefragibilmente che non c'è con-scientia se l'io non si sente nella dualità con l'altro, e se l'uomo non vive la solidarietà con la legge, cui è congiunto e cui deve riverenza”. (Cfr. “Iota Unum”).

La libertà, quindi, si realizza solamente in riferimento alla verità (“conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” dice Giovanni nel Vangelo), per cui non vi può essere contraddizione tra l'una e l'altra, come non ve ne é tra libertà ed obbedienza, dal momento che l'uomo ha scritto nel suo cuore la legge divina, alla quale, appunto, deve obbedienza, dopo averla saputa leggere ed interpretare.

Evidentemente in quest'opera di introspezione e di ascolto l'uomo non può essere lasciato solo, con il suo libero arbitrio, con la sua ragione, con le sue facoltà limitate ed imperfette (siamo, come si vede in linea proprio con il miglior pensiero cattolico espresso nel secolo XVIII da pensatori come Bonald e de Maistre), per questo deve essere affiancato, aiutato e sollecitato attraverso il magistero della Chiesa.

In questo senso - precisava dal canto suo San Giovanni Paolo II – chi si appella alla propria coscienza per contestare il Magistero si pone fuori dalla concezione cattolica e, quindi, fuori dalla comunità.

Comunità che, essendo un organismo fraterno e gerarchico, ha necessariamente bisogno di norme e di disciplina ecclesiali, non solamente per motivi esteriori e funzionali, ma anche e sopratutto per esigenze essenziali ed intrinseche che riguardano il servizio alla comunione della Chiesa.

Ma oltre che attraverso la disciplina e le norme ecclesiali regolatrici della comunità cristiana, la Chiesa italiana assume una propria immagine storica anche attraverso le norme concordatarie.

La validità, perciò, del Concordato tra la Chiesa cattolica e lo Stato italiano, rivisto nel 1984 con ulteriori intese, deve essere confermata respingendo interpretazioni faziose e fughe in avanti di tutti coloro che, in linea anche di principio, si oppongono ad accordi tra Stato e Chiesa.

Si sa che da sempre anche nel nostro campo si sono manifestati correnti di pensiero e politiche in contrasto con la dottrina cattolica.

In particolare certi cattolici, oltre che i laicisti di tutti gli orientamenti ideologici e culturali, hanno sempre considerato lo strumento concordatario superato, in quanto rispecchierebbe rapporti tra Stato e Chiesa di tipo costantiniano e non garantirebbe abbastanza la netta separazione tra i due enti sovrani.

Per questo motivo anche in occasione della Revisione del 1984 si cercò in ogni modo di svuotare di contenuto quanto più fosse possibile il nuovo concordato, facendone una specie di legge quadro, flessibile e modificabile.

Eppure secondo l'Enciclopedia cattolica il concordato è “una convenzione tra la Santa sede e lo Stato per regolare questioni religiose di comune interesse”, e la Chiesa “non può non ricercare forme e strumenti concreti di collaborazione con la comunità politicamente organizzata dentro la quale esiste, al fine di assicurare “la promozione dell'uomo ed il bene del Paese”, perciò in Italia la presenza di un Concordato si motiva fondamentalmente per due ragioni non estranee ai grandi valori proclamati dal Concilio: la libertà della Chiesa e la corretta collaborazione tra la Chiesa e la comunità politica”.

Ora tornando ai mali che attualmente affliggono la Chiesa italiana c'è da rilevare che esistono tensioni tra le associazioni ed i movimenti ecclesiali, esasperato individualismo e soggettivismo, ricerca dello spirito di comunione solamente a parole, frequente assenza di comunione tra vescovi e sacerdoti, rapporti non sempre idilliaci tra diocesi ed istituti religiosi, non adesione se non rifiuto di molti teologi e presbiteri alla Dottrina cattolica.

“Lo spirito di indipendenza genera la radicalità dei cambiamenti e la radicalità coincide a sua volta con l'esigenza – scriveva Rosario Amerio – di creare un mondo nuovo e l'esigenza creativa infine genera discontinuità dal passato e denigrazione della Chiesa storica. Ci tocca adesso vedere gli effetti che lo spirito di indipendenza genera circa l'unità della Chiesa” (Cfr. “Iota Unum”).

Già nel 1973, peraltro, Paolo VI in un drammatico discorso denunciava “la divisione, la disgregazione che purtroppo s'incontra ora in non pochi ceti della Chiesa” ed affermava che “la ricomposizione dell'unità spirituale e reale all'interno della Chiesa è oggi uno dei più gravi e più urgenti problemi della Chiesa”.

Ora, per riconquistare questa unità è necessario che venga recuperato un minimo di disciplina ecclesiale in particolare nel campo della morale, dell'insegnamento sociale e della liturgia.

In tema di morale – e quella sessuale in special modo - “è più manifesto il distacco, se non addirittura il contrasto, fra l'insegnamento del Vangelo e la visone oggi dominante. Si pensi, in particolare, alla morale sessuale e coniugale e al comportamento morale nei confronti dei gravi problemi della vita umana, sopratutto alle sue origini e al sua declino”.

Si arriva persino a contestare verità di fede ed il fenomeno è preoccupante perché si tenta di spacciare come pensiero della Chiesa quello che non è, generando in tal modo confusione e veri e propri scismi surrettizi.

In tema di dottrina sociale poi in questi ultimi tempi si assiste ad un vero e proprio revival della cosiddetta teologia della liberazione nonostante sia stata messa all'indice a seguito dei ripetuti interventi personali di Giovanni Paolo II e dell'allora cardinale Ratzinger, quando era prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, con le due istruzioni: la prima del 6 agosto 1984 («Alcuni aspetti della “teologia della liberazione”»); la seconda del 22 marzo 1986 (“Libertà cristiana e liberazione”).

In tema di liturgia, infine, nell'ambito della quale si assiste a spericolate sperimentazioni e a tante fantasie, bisognerebbe riportare un minimo di disciplina liturgica e sacramentale, poiché non si può “confondere la sana creatività”... “con la novità a tutti i costi, che fa smarrire il vero significato del mistero celebrato, il quale non è mai possesso individuale ma dono di grazia ricevuto dalla Chiesa”.

La riforma liturgica fu attuata, come noto, dal Concilio, per avvicinare quanto più possibile, fedeli al mistero; ma fu il cosiddetto “spirito del Concilio”, cioè quello che i progressisti presumevano o pretendevano avesse introdotto o avesse dovuto introdurre il Concilio, a “sterminare” il latino, disattendendo persino la costituzione conciliare, ad introdurre al posto dell'oggettività, che esprime l'immutabilità trascendente, la creatività del popolo di Dio e del sacerdote nei riti e nelle preghiere; a passare dal sacro al teatrale e poetico, trascurando l'aspetto comunitario (che si diceva voler, invece, salvaguardare) per esaltare quello personale ed individuale; a far prevalere il carattere simposiale su quello sacrificale; insomma a dare la sensazione che la nuova messa fosse diventata una cerimonia molto simile a quella dei protestanti. E questa è una delle cause del calo della presenza alle messe.

Per concludere, non si tratta di ridurre spazi di libertà né di annullare la personalità dei credenti, ma di intendere solamente in maniera diversa da quella corrente ai nostri giorni termini come, “libertà”, “autorità”, “obbedienza”, “disciplina” e “servizio” che, viceversa, potranno diventare valori da praticare ed esaltare solamente se inquadrati ed illuminati dal messaggio evangelico.

“Occorre pertanto avere sempre dinanzi agli occhi la finalità che le strutture e le norme ecclesiali hanno, ad esse aderendo per far crescere in noi e fra noi la piena maturità di Cristo, 'l'uomo nuovo'. Ciò che a uno sguardo puramente umano può talvolta sembrare mortificazione dell'uomo, è in realtà il cammino della sequela che, guidando il discepolo nella via del rinnegamento di sé, lo farà partecipare anche alla resurrezione del Signore” (Ibidem Cei “Comunione, Comunità e disciplina ecclesiale”).

 

Riccardo Pedrizzi