Lemennais, la nuova “tecnocrazia”

Duecentoquaranta anni fa nasceva Felicitè de la Mennais il controrivoluzionario che si convertì ad una “tecnocrazia popolare”(solamente successivamente per eliminare ogni traccia di nobiltà dal suo cognome volle chiamarsi Lamennais), rifiutava la sovranità popolare (de Maistre e de Bonald), criticava le costituzioni artificiali (Burke), individuava come cause della rivoluzione la Riforma Protestante (de Bonald) e le idee dei philosophes settecenteschi, attribuiva alla religione individuale scarsa affidabilità nella ricerca della verità.

A differenza, però, dei tradizionalisti monarchici, dai quali dovrà allontanarsi agli inizi degli anni Venti dell'Ottocento, egli faceva risalire lo stato di decadenza della società e della chiesa francesi anche al giansenismo, “figlio vergognoso della Riforma”, al gallicanesimo, che aveva buracratizzato la religione staccandola da Roma, al compromesso con le forze della rivoluzione a cui gli stessi governi restaurati erano soliti scendere, infine, alla mancanza di fede e di coraggio di certo clero, che si era fatto contagiare dall'illuminismo.

Nel giansenismo, innanzitutto, l’abate bretone, coglieva uno dei germi della Rivoluzione, dal momento che per primo questo movimento religioso aveva propugnato una netta separazione tra l’ordine sociale con tutte le sue fallaci passioni, le sue “libidini”, e “l’ordine della carità” unico rifugio del credente.

Lamennais mirava a restituire alla religione ed alla Chiesa il controllo della società, il cui fondamento e le cui leggi venivano fatti derivare (come tutti i cattolici controrivoluzionari, del resto) direttamente da Dio.

Per quel che concerneva il gallicanesimo che - come si ricorderà - rivendica con la vecchia sua “Dichiarazione del clero gallicano” del 1682 la completa autonomia del potere civile, in materia temporale, dal potere religioso, la più ampia indipendenza del clero nazionale dall’autorità pontificia e la superiorità delle assemblee ecumeniche rispetto al Pontefice, Lamennais basava per confutare queste rivendicazioni le sue argomentazioni sull'esegesi del passo evangelico dal quale si evince che Pietro viene investito del primato episcopale con la consegna delle chiavi da parte di Gesù.

Pertanto, anticipando i risultati cui doveva pervenire successivamente il Concilio Vaticano I, Egli rifiutava la pretesa di molta parte del clero francese che continuava a sollecitare maggiore autonomia da Roma, affermando che l’investitura dei vescovi da parte dei Papi sarebbe stata un'usurpazione della Curia romana.

Al Papa spetta, quindi, non solo un primato d’onore, ma anche di giurisdizione - è questa la tesi sostenuta in “Tradizione della Chiesa sulla istituzione dei vescovi” - dal momento che Egli in materia di fede e di religione è infallibile.

Per quel che riguardava i compromessi dei vari governi con le forze della sovversione (altra causa, secondo l’abate, della secolarizzazione e della scristianizzazione dell'Europa) si sottolineava come il processo fosse iniziato proprio nel momento in cui, dopo il medioevo, il potere civile si era “liberato” dalla tutela del potere spirituale, si fosse accentuato con l’assolutismo regio impregnato di teorie illuministiche ed, ora, stesse proseguendo con i governi restaurati, che, lungi dall'apportare una restaurazione politica e religiosa, stavano portando a compimento tutte le idee, i programmi e le legislazioni rivoluzionarie.

Il Lamennais, che, forse unico tra tutti i controrivoluzionari, aveva compreso bene il ruolo della stampa e della scuola nella società moderna, si schierò subito contro le indecisioni e le debolezze dei governi monarchici in questi settori.

Egli si rendeva molto bene conto che non era più possibile invocare la cristianizzazione dell'insegnamento, anche se continuava a chiedere misure per eliminare quantomeno lo spirito irreligioso dalle aule scolastiche; per questo non si stancava di rivendicare sempre maggiore libertà d'insegnamento per i cattolici, mostrando un'intuizione ed una lungimiranza veramente straordinarie. (Per queste ed altre notizie vedi il mio “I Proscritti: Pensatori alla sfida della modernità” cap. XV, edito da Pantheon, 252 pagg. 15,00 euro.)

Questo tema, infatti, risulterà essere un vero e proprio cavallo di battaglia di tutti i movimenti cattolici che si susseguiranno nel tempo, fino ai nostri giorni.

Non minor acume dimostrava il sacerdote francese nell'affrontare il problema dell'indifferentismo religioso sia sul piano sociale che personale.

Egli non poteva nascondersi che con la caduta degli “anciens regimes” si era spezzato definitivamente quel legame organico che teneva uniti, sostenendoli nello stesso tempo vicendevolmente, la Chiesa e lo Stato e che da quel crollo erano nati, da un canto, un nuovo Stato laico, indipendente ed indifferente ad ogni credo religioso, dall'altro, una nuova Chiesa che non godeva più nè di privilegi nè di monopoli spirituali.

Con queste premesse - prevedeva il pensatore cattolico - uno Stato agnostico non poteva prima o poi non diventare uno Stato ateo, mentre una Chiesa che non è costretta più ad alcuna servitù nei confronti dello Stato non poteva non riprendere tutta la sua libertà di movimento, abbandonando a se stessi poteri politici dispotici, regimi assolutisti, sistemi liberalistici anticristiani, per allearsi direttamente con i popoli e dedicarsi alla sua grande missione spirituale e temporale: salvare l'anima, la società ed il cattolicesimo.

Ed al servizio di questa missione si pone il Lamennais fin da giovane, quando ricevuta un'educazione religiosa da parte dello zio Denys François Robert des Sandrais, che era rimasto disgustato dagli eccessi della Rivoluzione Francese, si convertì ed a 22 anni fece la prima Comunione.

Il Nostro era nato nel 1782 a Saint-Malo e visse i primi anni della fanciullezza praticamente nella biblioteca dello zio, senza allontanarsi dalla Bretagna.

Egli fu in effetti un autodidatta, non avendo nemmeno frequentato il seminario; ma ben presto entra in contatto con gli abati Brutè e Tesseyre impegnati, in quel tempo di dittatura napoleonica, a rilanciare la cultura cattolica.

Con questo spirito Lamennais ed il fratello Jean Marie, nel frattempo divenuto sacerdote, pubblicano nel 1808 le “Reflexions sur l'ètat de l'Eglise en France pendant le dix-huitieme siècle et sur sa situation” che, per ordine del governo fu ritirata dalla circolazione, perchè metteva in discussione il rigido controllo napoleonico sulla Chiesa e perchè criticava l'arrendevolezza del clero nel difendere la verità di fede e la propria fedeltà a Roma.

E' costretto, perciò, a ripiegare sull'insegnamento della matematica in un istituto religioso, ma deve interrompere anche questa attività perchè un decreto imperiale del 1810 obbliga alla chiusura tutte le scuole non statali.

La Restaurazione del 1814 gli consente di pubblicare, sempre insieme al fratello, l'opera “De la tradition de l'Eglise sur l'istitution des evèques”, ma i cento giorni lo obbligano a rifugiarsi esule in Inghilterra.

Il 9 marzo, rientrato in patria, viene ordinato sacerdote e l'anno successivo, questa volta da solo, pubblica il primo volume dell' ”Essai sur l'indifferencè en matière dè religion” che suscitò grande eco di pubblico non solamente cattolico, che tributò allo scrittore onori e riconoscimenti, nonchè varie richieste di collaborazione a giornali e riviste.

Se, infatti, persino lo storico Adolfo Omodeo, è costretto ad ammettere che “il libro fece furore; le conversioni d'increduli e di protestanti si moltiplicarono: parve iniziarsi una primavera nuova per il cattolicesimo, lusinghiera e ricca di promesse più di quanto non dovesse essere raccolto, come sempre tutte le primavere.

Anche in Italia, ad esempio, fu, insieme alla “Lettera” di von Haller e “Du divorce” di de Bonald, tra le opere più lette e diffuse nei circoli controrivoluzionari: padre Gioacchino Ventura, che seguì tutta la vicenda di Lamennais, anche quando cominciò a sbandare paurosamente verso lidi libertari ed anticattolici, fu uno dei principali propagandisti degli scritti ultramontani ed un acceso lamennesiano, tanto da fondare a Roma presso la casa generalizia dell'Ordine dei teatini un'Accademia Lamennasiana; lo stesso Pontefice, papa Leone XII, lo ricevette e lo incoraggiò nella sua lotta contro il clero gallicano; giornali come “Conservateur”, “Le Defenseur”, “Le Memorial Catholique” furono conosciuti da noi proprio per il prestigio che l'abate bretone aveva riscosso con i suoi libri; Mons. Giuseppe Baraldi, prelato domestico di Gregorio XVI, fondatore della rivista “Memorie di Religione, di Morale e di Letteratura”, esponente di spicco del cattolicesimo intransigente dell'epoca, era un convinto sostenitore delle tesi lamennesiane, che chiamò, peraltro, come suo collaboratore fisso alla rivista; il principe di Canosa si adoperò per far pubblicare l' ”Essai” dalla contessa Ferdinanda Montanari Riccini, ospitò a casa sua il pensatore quando venne in Italia ed, attraverso una serie di contatti che egli aveva con tutti gli ambienti tradizionalisti della penisola, contribuì alla diffusione del pensiero del francese.

Tra il 1818 ed il 1821, Lamennais pubblica il secondo volume dell' ”Essai” ed una “Defense de l' ”Essai”, collabora alla pubblicazione di Chateaubriand, “Conservateur”, ed alla rivista di de Bonald, “Defenseur”, si impegna con rinnovato ardore nella polemica contro il monopolio statale dell'istruzione.

Pubblica negli anni successivi il III e IV volume della sua grande opera e nel 1824 viene in Italia, dove a Genova, Roma e Napoli incontra i rappresentanti di quasi tutti i circoli legittimisti.

Iniziano, a partire con la pubblicazione del libro “De la religion considèrè dans ses rapports avec l’ordre politique et civil” nel 1825, i primi dissapori con i circoli monarchici a causa delle critiche che Egli muove alla politica tiepida della monarchia legittimista in materia di religione.

I nodi, però, dovevano ben presto venire al pettine e, tra il 1826 ed il 1829, il focoso sacerdote bretone, seguito da pochi giovani preti, in polemica anche con l'arcivescovo di Parigi, mons. Quèlen, rompe definitivamente con tutti gli ambienti monarchici e con i suoi vecchi compagni di strada, per iniziare, con la pubblicazione del quotidiano “L'Avenir”, la fase del cattolicesimo liberale e democratico che dovrà portarlo alla condanna ecclesiastica del 1832.

Nel 1834 Lamennais pubblicava “Les paroles d'un croyant”; ma l'opera veniva severamente condannata dal Papa con la “Singulari nos”: da questo momento la storia di questo autore, abbandonato dai suoi giovani amici più prestigiosi, Locordaire, Montalembert, Garbet e Salinis, non appartiene più al filone del tradizionalismo politico, culturale e religioso.

A distanza di venti anni esatti, il 27 febbraio 1854, moriva, rifiutando persino i funerali religiosi e facendosi seppellire in una fossa comune.

Effettivamente l'abate bretone ebbe una grande influenza nell'ambito di tutto il movimento reazionario europeo, perchè, pur propugnando le stesse idee dei de Bonald e dei de Maistre, seppe farne strumento di polemica politica e culturale, senza avere troppi rimpianti per la società e le epoche prerivoluzionarie, anzi riuscendo ad avere una grande sensibilità per i nuovi problemi, che si andavano presentando allora per la prima volta, ed abbozzando nello stesso tempo delle soluzioni che non fossero semplicemente il ritorno “tout court” ad un passato, ormai definitivamente travolto dagli eventi.

Constatato, infatti, che il destino delle monarchie era segnato, intravedeva per la Chiesa, che avrebbe dovuto avere anche una missione sociale da compiere, la strada dell'alleanza diretta con i popoli, nell'ambito dei quali avrebbe dovuto operare come qualsiasi altra forza politica e culturale per riconquistare il terreno perduto e lo spazio che le competeva.

Preso atto che Riforma e Protestantesimo erano state cause della rottura dell'equilibrio tra produzione e consumo, facendo nascere un economia disumana, tendente solamente al profitto, sollecitava la Chiesa a farsi portavoce delle masse proletarie e degli sfruttati, per i quali venivano rivendicati per la prima volta il diritto di organizzazione, di voto, al lavoro ed alla proprietà.

Rilevato che ormai credi religiosi, politici ed ideologici si contendevano la mente e l'anima degli uomini senza esclusione di colpi, sosteneva che la Chiesa doveva adottare anch'essa il metodo della libertà non come fine e valore da perseguire in se stesso, ma come “mezzo”, in “ipotesi” come si sarebbe successivamente detto, battendosi sempre ed ovunque per la libertà religiosa, di organizzazione, di stampa e di educazione e facendosi, se del caso, anche promotrice di partiti cattolici.

Da un canto, in conclusione, vi era e rimaneva feroce la critica alla Rivoluzione, alla società industriale, allo Stato moderno, alla democrazia svincolata dal diritto e dalla legge divina, dall'altro si prospettavano per il cattolicesimo nuove sfide come quella per la difesa dei corpi intermedi e delle società naturali contro uno Stato agnostico, per la diffusione dell'associazionismo cattolico, per la rievangelizzazione dei popoli europei preda dell'indifferentismo, per la diffusione della libertà in sintonia sempre con il rispetto dell'autorità, dell'ordine e della verità cattolici.

Era questo il programma quanto mai attuale, di un “tradizionalismo popolare” se si vuole, “rivoluzionario” o, come piace a noi definirlo, di una “teocrazia popolare”.

Riccardo Pedrizzi