Chateaubriand il cattolico saggio


Il ritorno in libreria per i tipi di “Iduna Edizioni” del celebre volume “Vita di Napoleone”, tratto dal suo più noto “Memories d'Otrambe” di Francoise René chateaubriand, per ricordare il bicentenario della morte dell'imperatore corso (5 maggio 1821), ci offre l'occasione per riproporre ai nostri lettori la figura e l'opera di questo cattolico controrivoluzionario che, insieme ad Edmund Burke, a Jospeh de Maistre, Luis de Bonald ed il primo Lamennais, pose le basi del pensiero conservatore contemporaneo.
Di antica nobiltà bretone, imparentato con famiglie reali, Françoise Renè, visconte di Chateubriand, nasce il 4 settembre 1768 a Saìnt Malo da Renè-Auguste conte di Combourg, armatore e da Apolline-Janne Suzanne, contessa di Bedèe.
A diciotto anni entra come sottotenente nel reggimento di Navarra e l’anno dopo viene presentato a corte; si trasferisce, in questo periodo a Parigi ed assiste alla presa della Bastiglia. Due anni dopo si imbarca per l’America del Nord, dove lo raggiunge la notizia dell'arresto del re, ritorna, perciò, in patria e combatte insieme ai fuoriusciti, rimanendo anche ferito all'assedio di Thionville.
Parte per Londra in esilio e vi resterà 7 anni, quasi in miseria, per rientrare in Francia a seguito dell'amnistia. In Inghilterra aveva iniziato l'”Essai des revolutions” ed il “Genee du Christainisme”, che quando viene pubblicato a Parigi nel 1802 riscuote un tale successo da provocare un vero e proprio cambiamento nel gusto e nelle idee dei francesi.
Viene chiamato a ricoprire incarichi pubblici da Napoleone, ma ben presto passa all'opposizione a causa della vergognosa fucilazione del duca di Enghien. In questo periodo scrive e pubblica “Les Martyrs” ed “Itinéraire de Paris à Jerusalem”.
Deve attendere la restaurazione per riprendere l'attività politica, prima, come ministro degli Interni e pari di Francia e, poi all'opposizione di Luigi XVIII nel gruppo degli ultras.
Fonda la rivista il “Conservateur” e tra il 1818 ed il 1828, dopo alterne vicende che lo vedono di volta in volta strenuo difensore della libertà di stampa, inviato a Berlino, ambasciatore a Londra, plenipotenziario a Verona, ministro degli Esteri, oppositore accanito del governo Villèle e ministro degli Esteri del governo Martignac, nel 1829 con l’andata al potere del ministro Polignac si dimette ed attende che si verifichi quello che puntualmente aveva previsto: la rivoluzione del luglio 1830 e la nomina illegittima di Luigi Filippo d'Orleans a re di Francia. 
Immediatamente abbandona ogni attività pubblica e, dopo aver subito anche un arresto per aver brigato nell'interesse della duchessa di Berry, che pretendeva il trono, va nel 1832 in Svizzera, poi in Germania, in Italia ed a Praga.
Muore il 4 luglio 1848. (Queste notizie sono tratte da: Riccardo Pedrizzi, Rivoluzione e dintorni (dalle prime reazioni all'illuminismo alla controrivoluzione cattolica), Edizioni Pantheon).
Anche negli anni della sua più intensa vita politica, Chateaubriand produsse una vasta mole di scritti, che ebbero subito e sempre una grande diffusione, anche al di fuori dei confini di Francia, e che contribuirono a creare un nuovo genere ed un nuovo stile letterario ( aspetto questo però che non ci interessa esaminare in questa sede), ma soprattutto a diffondere una nuova mentalità.
Le sue opere complete già furono pubblicate tra il 1826 ed il 1831, ma, anche successivamente, quando ebbe il tempo di darsi a tempo pieno agli studi, egli continuò a pubblicare testi di ricerche storiche, traduzioni, frammenti e saggi, riservando molto del suo tempo all'opera che, però, sarà pubblicata postuma: “Mèmoires d'Outre-Tombe”.
Da tutto quanto Egli scrisse si vede subito che il suo pensiero politico non ha nulla di quella organicità e della sistematicità di de Maistre e di de Bonald e nemmeno dell'equilibrato costituzionalismo burkiano, al quale il Nostro pur si riferì spesso.
I pensatori della controrivoluzione grosso modo si possono suddividere in due tronconi: quello dei fautori di un ritorno ai principii che avevano retto la monarchia capetingia con la restaurazione delle antiche rappresentanze per ordini e comunità e quello dei sostenitori di un costituzionalismo all'inglese che, accogliendo quanto di giusto vi era stato nell'89, avrebbero voluto ammodernare la Francia. Questi ultimi erano stati in un primo momento favorevoli alla riforma costituzionale ed avevano partecipato alla convocazione degli stati generali, accogliendo molte critiche illuministiche all'ancien regime.
Per questi autori, in poche parole, la grande svolta rivoluzionaria è data per scontata, salvo apportarvi correttivi e modifiche in senso moderato.
In questa schiera si colloca, insieme ai vari Maulet, Montlosier, Mounier, Clermont-Tonnerre, oltre che al loro portavoce e caposcuola Mallet du Pan, il nostro personaggio.
In questa sottile, difficile e forse utopica opera di mediazione si riconobbe Chateaubriand che, descrivendo appunto questa posizione, scriverà nella prefazione che apre le sue “Memorie”: “Mi sono trovato in mezzo ai due secoli, come alla confluenza di due fiumi; mi sono tuffato nelle loro acque agiate, allontanandomi con rimpianto dalla vecchia riva dove ero nato, e nuotando speranzoso verso il lido sconosciuto su cui vanno ad approdare le generazioni”.
E per lui, passionale ed emotivo, suscettibile e fortemente legato al senso dell'onore, orgoglioso e schivo da ogni compromesso, quella collocazione risulterà ancora più difficile e, soprattutto, gli sarà fatale nel giudizio che ne dettero i suoi contemporanei (ma anche i posteri) che, in verità non dovettero, davvero, avere alcuna difficoltà nel trovare nei suoi scritti e nei suoi discorsi il destro per attaccarlo.
Come quando Egli stesso dichiarò di essere “bourbonnier par honner, royaliste par raison et par convincion, rèpublicain par goù et par caractère”.
In effetti coloro che ebbero la ventura di avere a che fare con lui non dovettero facilmente raccapezzarsi per le sue mosse politiche imprevedibili e clamorose, per le sue donchisciottesche battaglie in difesa di cause già perse, per i suoi giudizi impietosi su personaggi ed eventi del presente e del passato.
Ma da questa difficoltà di comprensione all'accusa di incoerenza che gli fu mossa il passo è veramente grande, soprattutto se si considera che il rilievo veniva il più delle volte da parte di chi avrebbe voluto - a destra o a sinistra - fare di Chateaubriand l'esponente di una ideologia o addirittura di una fazione, o da parte di chi non comprendeva come un controrivoluzionario potesse essere anche uno strenuo difensore della libertà dei singoli e delle comunità e come un tradizionalista potesse schierarsi contro l'assolutismo regio.
Gli è che la sua superiorità di vedute in quel particolare momento storico apparve subito incontestabile ai suoi contemporanei meno faziosi e meno compromessi con parti politiche o con lobbies culturali, così come risultò evidente a tutti quei posteri che hanno tenuto per buone e per attendibili le affermazioni, le giustificazioni, le dichiarazioni espresse nelle varie e numerose opere, a cominciare dall'ultima, “Memoires d'Outre-Tombe”, alla quale bisogna ancora oggi avvicinarsi con umiltà per cogliere il senso profondo del messaggio di questo autore romantico.
Abbiamo già accennato alle differenze di stile, di argomentazioni ed anche di valutazioni del fenomeno rivoluzionario tra Chateaubriand ed i padri del pensiero controrivoluzionario, de Maistre, de Bonald e Burke.
Lo scrittore francese, dando, come tutti i monarchiens, una certa giustificazione alla rivoluzione dell'89, non la considera un evento straordinario e apocalittico, come aveva fatto il conte savoiardo, ma uno dei tanti avvenimenti della storia dell'umanità, nemmeno il primo o l'ultimo con caratteristiche rivoluzionarie (cfr. il “Saggio storico politico e morale sulle rivoluzioni antiche e moderne considerate nel loro rapporto con la rivoluzione francese”).
In comune, invece, con tutti gli altri tradizionalisti, il Visconte francese fa la critica al contratto sociale, alle costituzioni scritte, che pretenderebbero di prescindere dalla storia e dalle tradizioni di un popolo, ai filosofi illuministi ed alle loro idee distillate in alambicchi razionalistici non corrispondenti alla realtà dell'uomo e della società.
Del resto, dell'opera di questi veri e propri agenti della sovversione ideologica Chateaubriand seppe cogliere molto bene gli effetti distruttivi nei confronti della religione e del mondo della tradizione, così come seppe individuare il nesso di casualità tra la riforma protestante e la rivoluzione politica.
Egli non è un gretto reazionario che tende ad invertire il corso degli eventi, perchè capisce bene che ormai non si può tornare “tout court” indietro, nella speranza utopistica di restaurare il passato prerivoluzionario.
Perciò propone per la Francia un regime che riconosca certe libertà e che prenda atto delle trasformazioni intervenute, cercando di vivificare “tutto ciò che non è morto dell'antica monarchia con la religione, con i principi eterni della giustizia e della morale”.
Un regime che, rifuggendo sia dal dispotismo assolutista che dalla rivoluzione, cerchi di sposare l’autorità con la libertà e che ponendo a fondamento della società la religione cristiana, che ha affrancato l’uomo dalla schiavitù, garantisca l’autonomia dei vari ceti e la rappresentanza degli interessi delle diverse e molteplici comunità.
Come si vede la sua proposta politica è veramente “saggia”, oltre che praticabile ed attuale.
Scrive di lui, infatti, nell'Introduzione alle “Memorie”, Eva Timbaldi Abruzzese: “E le sue visioni hanno diverse proporzioni. Vede colorazioni più intense, orizzonti più ampi di quelli visti dalla normalità degli individui”.
E verso quegli orizzonti dovremo cercare di gettare il nostro sguardo, anche noi uomini contemporanei.

Riccardo Pedrizzi
www.riccardopedrizzi.it