Il Salvadanaio. Manuale di sopravvivenza economica

 

Per una nuova etica nell'economia: la lezione di Riccardo Pedrizzi

Il “Salvadanaio”, ultima fatica di Riccardo Pedrizzi, rappresenta, senza esagerazione, il punto di riflessione cui oggi far riferimento sul rapporto etica-economia. Non solo le dimensioni del libro, ma anche il suo tentativo di inverare la dottrina sociale della Chiesa nelle condizioni spirituali e finanziarie dei nostri tempi lo fanno diventare un’occasione che induce a fare il punto, oggi, nel frastuono del mondo che ci circonda. Depurato degli aspetti riguardanti il nostro Paese, sarebbe auspicabile, anzi, una sua traduzione almeno per il modo tedesco, sempre attento osservatore circa l’evoluzione delle idee.

La lettura più di getto che si dà di questo libro sta nel vedere l’àncora della Chiesa come la via per la “sopravvivenza economica”, nelle tempeste del nostro tempo. Ed è la lettura che corrisponde alle intenzioni dell’Autore, che appunto vuole calare ai problemi economico- finanziari di oggi l’eterno messaggio di Santa Romana Chiesa. Operazione culturale rilevante, fatta non da chi è interno alla Chiesa, ma da chi è un protagonista del mondo economico-finanziario e politico. Scrive dunque un uomo “laico”, ancorché credente, il che offre un sicuro orientamento al lettore anche a proposito dei tecnicismi che la materia presenta e dei modi di pensare di chi ha operato ed opera nel mondo dell’economia. Qui sta uno dei tanti pregi del libro.

Ma se la prima lettura, quella istintiva ed immediata, è quella appena detta, come dimostrano peraltro le eccellenti introduzioni di Giuseppe De Lucia Lumeno e del Cardinale Gerhard Ludwig Müller, è possibile aprire il compasso per un altro modo di vedere la questione, che molto probabilmente non è lontano dal pensiero di fondo dell’Autore.

Il punto della questione è presto detto. Ciò che è sotto gli occhi di tutti come elemento che non va non è il meccanismo classico: accumulo di risparmio-investimenti, che è il perno su cui si fonda il capitalismo classico. Quello che non va è il fatto che su questo meccanismo di base, correlato a sua volta a chi intermedia tra risparmio ed investimento (il mondo bancario), si sia da tempo innestata una crescita mostruosa, abnorme, smisurata e ormai incontrollabile di un’attività di natura meramente finanziaria finalizzata solo a generare profitti, spesso oscuri. Il punto è tutto qui. Basti pensare che stime ufficiali misurano il rapporto tra prodotti finanziari e pil mondiale intorno a 14/1.

Indubbiamente, c’è chi condanna il capitalismo anche per i suoi aspetti fisiologici. Ma non è di questo che qui si sta parlando. L’opera di R.Pedrizzi, la dottrina sociale della Chiesa e tutta la temperie culturale dell’Occidente, con i nessi che legano questi vari passaggi, non negano la validità del meccanismo di base – quello fisiologico – del capitalismo moderno, ossia l’impresa che produce beni finanziandosi con un risparmio che viene raccolto ed offerto a chi ne ha esigenza da qualcuno che comincia a far questo di mestiere. Un meccanismo che non casualmente si sviluppa in epoca medievale in un contesto cristiano ed alla cui base non può che esserci una parola tanto esecrata, ma da rivalutare per i suoi aspetti propositivi: profitto. Lavorare gratis può starci, ma che tutti lavorino gratis è impossibile. Quando certe dottrine hanno trovato attuazione, alla fine sono semplicemente implose dall’interno, come un castello di carta caduto senza neanche un refolo di vento.

Il messaggio del libro può essere dunque letto anche nel tentativo, in accordo con la pars costruens della dottrina della Chiesa, di mettere l’accento sul buono del meccanismo capitalistico e di stigmatizzare con particolare forza le esagerazioni e le deviazioni avvenute negli ultimi decenni verso la sola e pura finanza, dietro cui ci celano solo chiacchiere: il regno dell’algoritmo.

Da questo punto di vista un’esperienza da rivalutare e forse da riprendere in una qualche successiva ed ampliata riedizione dell’opera è quella di una riconsiderazione e di un ammodernamento dell’idea tedesca di economia sociale di mercato. Il manifesto programmatico della CDU/CSU è un ottimo esempio in questo senso. I testi dei classici sono da tempo disponibili sul mercato italiano e si può dunque apprezzarne il senso dell’idea di base: i pubblici di poteri come custodi inflessibili del rispetto delle regole da parte di un mercato lasciato libero, però, di operare con l’autonomia e la flessibilità che ne costituiscono gli indispensabili motori. Si introduce così l’idea del “giusto”, di antichissima origine riferita alle logiche dell’economia, rinverdita dal passaggio tomistico e che deve rappresenta il punto di riferimento quando si affronta il tema dell’introduzione di elementi di etica nelle cose economiche. In effetti è quello che R. Pedrizzi fa, quando alle pagg. 299-300, delinea esattamente quello che è stato il modello renano, che egli chiama “quarta fase del capitalismo”, ossia il “capitalismo della responsabilità”.

Il punto su cui induce a riflettere l’opera di R. Pedrizzi può anche consistere, dunque, in un rinverdimento delle ragioni “sane” del capitalismo pensando, ad esempio, a quell’alleanza tra produttori di cui parlava Gobetti, tanto per fare un nome. Temi, questi, su cui si innesterebbero scelte ed opzioni di politica economica attuale, ma anch’essi correlati ad un discorso etico.

L’etica nell’economia, così come nelle istituzioni e nell’agire individuale (e senza immaginare improbabili, ma anzi catastrofici uomini nuovi), è tema peraltro che l’hegelismo antico e nuovo ha a lungo trattato, tanto per fare un esempio che si colloca al di fuori del contesto cattolico. Ma è chiaro che il discorso sull’etica sposta immancabilmente l’ottica sulla Chiesa e qui il cerchio si chiude. Le parole-chiave forse sono quelle della Sezione IV del libro: un’economia al servizio dell’uomo. Compito non facile da realizzare e forse possibile a molte e non semplici condizioni: anzitutto, che l’esempio sia virtuoso, l’esempio di chi dice di fare, ma talvolta fa poco o fa diversamente, molto diversamente. L’etica è anche questa, cattolica o laica che sia. E’ l’esempio, quello del buon padre di famiglia o del buon maestro di scuola elementare, a piegare l’etica individuale verso quella collettiva, a far capire come si fa. Il sacrificio di Socrate non può essere stato vano. Non a caso R. Pedrizzi ripropone al centro i corpi intermedi, nozione sbiadita dopo l’uragano della Rivoluzione dell’89, ma istituti portatori di un’etica sana: che siano queste le parole su cui l’Occidente forse dovrebbe ripensare e rifondare sé stesso? Se è ancora in tempo.

Clemente Forte

 

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