Io sto con Papa Francesco

Gli appelli di Papa Francesco sulla pace, da ritrovare subito e con l’aiuto di tutti, rappresentano un atto di coraggio “rivoluzionario”, perché frutto di un ragionamento equidistante non sulle responsabilità morali del conflitto in Ucraina, da attribuire alla Russia senza alcun equivoco o infingimento, ma sulle concause geopolitiche e militari che hanno contribuito a far accendere la scintilla.

Il Santo Padre parla senza ipocrisia, sia nei confronti del cieco “abbaiare” della Nato, sia dell’indifferenza della comunità mondiale, e in particolare europea, rispetto ai fermenti separatisti e identitari della zona oggetto oggi della contesa, che covavano da diversi anni e dei quali nessuno si è mai preoccupato. Così come tutto il mondo occidentale aveva ignorato le rivendicazioni russe.

Il ruolo forte e trainante dei cattolici in questa terribile guerra di bombe, cibo ed energia diventa perciò ogni giorno che passa un obiettivo da perseguire, affiancando quella diplomazia internazionale che cerca varchi nel muro di ostilità e di brutalità che il regime di Putin offre ai possibili interlocutori. Lo diciamo da settimane.

Laddove la politica e le istituzioni internazionali appaiono ininfluenti, può arrivare il carisma del Pontefice, che, a dispetto di qualche interpretazione superficiale, non si è affatto sottratto al ruolo di mediazione e continua a lavorare assiduamente nel sottobosco della diplomazia per provare a creare un canale di pace che consenta alle parti in causa di uscire dal vicolo cieco in cui si sono cacciate.

Solo qualche giorno fa il Papa ha ribadito il monito al mondo, “a non dimenticare il martoriato popolo ucraino in questo momento”, ponendo l’accento sull’inevitabile, ma pericolosissimo, calo di attenzione dei media su una guerra alla quale i Potenti del mondo potrebbero decidere di rassegnarsi nonostante le migliaia di morti e le sofferenze di bambini ed anziani, che sono nella bufera. In mezzo ci sono loro, i civili ucraini, il popolo russo, la gente comune, noi tutti, verso i quali Bergoglio indirizza il suo principale monito a non girarsi dall’altra parte. “Vorrei che rimanga in tutti voi una domanda: cosa faccio io per il popolo ucraino? Prego, mi do da fare, cerco di capire? Ognuno si risponda nel proprio cuore…”, è il monito del Santo Padre, perfettamente consapevole che solo la mobilitazione delle coscienze del mondo cattolico può generare legna da far ardere sul fuoco delle trattative; solo la mobilitazione civile e una soglia altissima di indignazione per ogni vittima di questa sporca guerra può aiutare un’autorità morale e religiosa come il Pontefice a non lasciarsi triturare dai bassi giochi di strategia geopolitica od economica dei blocchi contrapposti.

Proprio per questo non bastano i canali tradizionali della diplomazia ma gli imprenditori, il no profit, il volontariato, i dirigenti cattolici, i fedeli, le parrocchie, devono sostenere le iniziative di pace del Papa con più forza e devono cercare di unire tutta la comunità cattolica nella mobilitazione contro la guerra, uscendo dalla logica paralizzante dei buoni e dei cattivi, come ha sottolineato recentemente lo stesso Pontefice. Purtroppo vediamo invece che la voce che arriva dal mondo cattolico è ancora troppo debole e flebile, pochi – salvo qualche esponente del giornalismo italiano come il Direttore di Avvenire Marco Tarquinio - “urlano dai tetti”, come sarebbe opportuno, necessario ed indispensabile, anche per rivendicare un ruolo che noi cattolici potremmo e dovremmo assumere in questo storico frangente della nostra storia, della storia dell'Europa e della storia del mondo occidentale.

Certo è difficile sottrarsi al timore di essere tacciati di “putinismo”, ma a questo compito non vogliamo e non possiamo sottrarci. Basterebbe ricordare tutte le iniziative che nel passato furono prese dal nostro mondo a seguito degli appelli contro tutte le guerre dei vari pontefici.

Papa Bergoglio sta sfidando gli steccati ideologici, culturali e perfino religiosi che dividono le due fazioni attuali, si propone come mediatore di un processo di pace della quale la Chiesa nei secoli si è sempre impegnata sia a livello teorico che pratico. L’esempio di Papi che nella storia si sono mossi sul fronte della pace, senza se e senza ma, del resto, è illuminante e deve dare forza ai tentativi di questo Papa: dalla definizione di “inutile strage” scritta da Benedetto XV nella lettera sulla prima Guerra mondiale all'appello di Pio XII da Castelgandolfo il 29/08/1939 alla vigiali del secondo conflitto mondiale, per arrivare ai moniti di Paolo VI all'Onu, il 4 ottobre 1965, “Non più la guerra! La pace deve guidare le sorti dei popoli e dell'intera umanità”, fino al grido di Giovanni Paolo II urlato all'Angelus del 16 marzo 2003, "Mai più la guerra, l’amore sarà fermento di pace, se la gente sentirà i bisogni degli altri come propri e condividerà con gli altri ciò che possiede”.

Per non parlare del ruolo di Benedetto XVI che nel corso del suo Pontificato illuminò il legame strettissimo tra ordine mondiale e felicità collettiva indicando “le vie di attuazione del bene comune da percorrere per ottenere la pace”, con riferimento alla dottrina sociale della Chiesa, secondo cui il bene comune presuppone l’esistenza di un’autorità politica che possa promuovere e guidare le attività che assicurano il benessere di ogni persona anche a livello politico internazionale, come per l’originaria funzione delle Nazioni Unite, oggi purtroppo in ostaggio di veti e ricatti dei Grandi della terra.

Il filo mistico e politico che ha mosso la Santa Sede è stato sempre quello dell’interposizione del Bene tra il Male e la Speranza.

L’appello dell'ora presente di Papa Bergoglio a non arrendersi “alla logica della violenza, alla perversa spirale delle armi” e a “imboccare la via del dialogo e della pace” è, dunque, nel solco della tradizione bimillenaria della Chiesa e rappresenta oggi un tentativo ancora più estremo di spostare il dibattito dai confini geografici a quelli morali. "Gesù ci ha insegnato che all'insensatezza diabolica della violenza si risponde con le armi di Dio, la preghiera e il digiuno”, ha detto il 23 marzo scorso. Troppo tempo è già passato invano ed il Santo Padre è dovuto di nuovo intervenire nei giorni scorsi in occasione dell'Assemblea Plenaria della “Riunione delle opere per l'aiuto alle chiese d'oriente”: “si è tornati al dramma di Caino e Abele; è stata scatenata una violenza che distrugge la vita, una violenza luciferina, diabolica, alla quale noi credenti siamo chiamati a reagire con forza della preghiera, con l'aiuto concreto della carità, con ogni mezzo cristiano perché le armi lascino il posto ai negoziati”... “Nella fede sappiamo che le alture della superbia e dell'idolatria umane saranno abbassate, e colmate le valli della desolazione e delle lacrime, ma vorremmo anche che si compia presto la profezia di pace di Isaia: che un popolo non alzi più la mano contro un altro popolo, che le spade diventino aratri e le lance falci. Invece, tutto sembra andare nella direzione opposta: il cibo diminuisce e il fragore delle armi aumenta. Non smettiamo perciò di pregare, di digiunare, di soccorrere, di lavorare, perché i sentieri della pace trovino spazio nella giungla dei conflitti”.

Ecco perché oggi la comunità cristiana di tutto il mondo deve unirsi con orgoglio e a testa alta allo sforzo di questo Pontefice in grado di determinare le sorti del conflitto, ma anche la presa della coscienza collettiva sull’orrore delle armi e della guerra.

“Dobbiamo allontanarci dal normale schema di ‘Cappuccetto rosso’ e del lupo cattivo. Qui non ci sono buoni e cattivi metafisici, in modo astratto. Sta emergendo qualcosa di globale, con elementi che sono molto intrecciati tra di loro…”, dice il Papa.

Quegli elementi sono le ambizioni personali, politiche, gli interessi commerciali, le armi, le vendette postume, la ricerca del consenso, l’apologia del crimine finalizzato all’imperialismo. Tutti temi su cui la Chiesa e il Papa sta provando a sollevare un velo per smascherare l’ipocrisia di un conflitto che qualcuno vuole derubricare alla volontà di un pazzo o di un sanguinario, ma che origina da scenari molto meno irrazionali fatti di minacce, “abbai al nemico e reazioni annunciate”.

E’ l’ora dunque di una grande mobilitazione dei cattolici italiani intorno al Papa, che nasca dal basso, dalle coscienze e che tocchi le vette delle incoscienze. E’ l’ora che chiunque di noi, che ha Fede e crede nella pace degli uomini e tra gli uomini, non si giri dall’altra parte e non si arrenda a ciò a cui il Santo Padre ha chiesto di non rassegnarsi mai.

 

Riccardo Pedrizzi