La Cina ci sta comprando

Pur essendo benevoli nel ritenere che la Cina non abbia avuto una strategia per voler infettare il mondo occidentale e pur essendo magnanimi nel pensare che il coronavirus sia stato un incidente di percorso dei ricercatori di Pechino, non possiamo non constatare che la pandemia sta obbiettivamente agevolando la penetrazione del colosso asiatico su tutti i mercati e nei più disparati settori merceologici, travolgendo tutte le varie barriere che gli Stati europei e del Nord America avevano approntato, che siano barriere doganali e/o dazi, che siano “golden power” cioè paletti messi dai vari governi per tentare di bloccare le acquisizioni di asset strategici per le economie nazionali.

Basta infatti vedere come stanno salendo – ed a vista d'occhio – le quotazioni dei titoli cinesi.

L'indice Shenzhen dall'inizio dell'anno sta guadagnando più del 30%, distanziando di molto il +6% di Wall Street. E non basta, se si pensa che lo scorso ottobre ha aperto i battenti la Quinta sessione plenaria del 19esimo Comitato centrale del partito comunista, che si è concluso con la conferma della governance cinese che resta salda intorno alla figura di Xj Jinping.

La leadership del più potente totalitario partito politico al mondo ha definito le linee guida, la road-map strategica per conquistare nei prossimi quindici anni la leadership politica, economica, militare planetaria attraverso il piano “China Standards 2035”: l’obiettivo espressamente dichiarato è il raggiungimento di una “grande cultura socialista”.

Le parole chiave uscite dalla sessione sono: “doppia circolazione economica”, autosufficienza, primato delle forze armate, concentrazione assoluta del potere politico nelle mani del Partito.

In pratica è ancora e sempre l’ideologia dittatoriale totalitaria marxista del Partito Comunista a dettare la vita del cittadino cinese.

Questa sessione è stata un evento cruciale nella predisposizione del 14esimo nuovo piano quinquennale 2021-25, per raggiungere una maggiore indipendenza da altri Paesi, specialmente nell'alta qualità ed in aree come la ricerca e l'innovazione.

La Cina prosegue cosi in maniera decisa per la propria strada e sta uscendo, anzi è già uscita, dal tunnel della crisi per prima tra le potenze mondiali, per cui è certo che dalla crescita ad “alta velocità” il Paese passerà allo sviluppo di “alta qualità”.

Questo perché la Cina ha dimostrato la migliore gestione della pandemia ed è ripartita subito, prima degli altri Stati, sopratutto quelli occidentali, con una forte crescita.

Secondo recenti dati del Fondo Monetario internazionale (FMI) il Paese comunista sta registrando, rispetto all'anno scorso, il maggior tasso di crescita a livello mondiale con un +1,9% contro il -8,3% dell'Europa, il -4,3% degli USA e del nostro -10,6%. Solo nel periodo luglio-settembre scorso, l'incremento è stato del 4,9% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. La produzione industriale ha fatto un balzo a settembre del 6,9% ed ad agosto del 5,6%; gli investimenti industriali in nove mesi del 2020 sono aumentati dell'0,8% pari a 43.650 miliardi di yen. Questo perché già ad aprile le autorità avevano rimesso in moto tutte le fabbriche. Inoltre si registra l'aumento della domanda interna perché i cittadini cinesi hanno fiducia ed hanno ripreso a spendere (+3,3% le vendite al dettaglio). Ma quello che appare ancora più grave per le economie occidentali è che molte multinazionali di tutto il mondo stanno andando ad investire in Cina.

Per tutti questi fattori positivi le previsioni sono tutte al rialzo, stimandosi che l'economia cinese possa registrare almeno il 6% di incremento per i prossime due anni ed a fine 2020 varrà il 72% di quello USA e farà il sorpasso nel 2032.

Del resto come bene sostiene Federico Rampini nel suo interessante libro: “La Seconda guerra fredda - Lo scontro per il dominio mondiale”, Mondadori Editore, la Cina ci ha sorpassati nelle tecnologie più avanzate, punta alla supremazia nell'intelligenza artificiale e nelle innovazioni digitali... In Africa è già da tempo in corso una vera e propria invasione con investimenti stratosferici in porti, ferrovie, autostrade, ecc. ecc. Ed attraverso questi investimenti ormai condiziona e controlla Stati e governi, maggioranze ed opposizioni politiche. In Europa la presenza commerciale è grande: tra il 2000 e il 2019, il volume del suo interscambio con la Ue è aumentato di cinque volte, a 560 miliardi di euro, secondo uno studio pubblicato dal Mercator Institute for China Studies (Merics), il maggiore think-.tank europeo (tedesco). La Cina è ora il secondo partner commerciale dell'Europa, dopo gli Stati Uniti.

L'Italia, dal suo canto, è già da qualche anno terreno di conquista cinese attraverso la “Nuova Via della Seta”. Proprio per questo a molti osservatori ed anche ad una parte della classe politica era apparsa come una sciocchezza la sottoscrizione di quell'accordo, che oltretutto ha fatto masticare amaro i nostri tradizionali alleati: gli USA, tanto che il Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) ha lanciato l'allarme sulle mire del "dragone" sul nostro apparato industriale e le nostre infrastrutture materiali (porti, autostrade, piattaforme logistiche, ecc. ecc.) ed immateriali e tecnologiche come il 5G. Ha richiamato l'attenzione anche il Professor Giulio Sapelli, Presidente del Comitato Scientifico del Centro Studi Blueh Monitorlab e Professore ordinario di Storia Economica presso l'Università degli Studi di Milano.

Che ha detto: “La Cina vede nei porti italiani l'altra pedina nel suo gioco di dama, dopo Gibuti e dopo Atene. Abbiamo innanzitutto Gioia Tauro, mentre il prossimo colpo che i cinesi vorranno fare è sicuramente il porto di Taranto. La strategia della Cina è quella di comprare naturalmente le élite dei Paesi in cui investono oppure di eliminare per via giudiziaria coloro che si oppongono. “l'hinterland di Trieste e quindi ai Paesi dell'Est”.

Del resto ad oggi sono oltre settecento le imprese italiane controllate da trecento gruppi cinesi o di Hong Kong (quasi tutti a capitali cinesi). Dal duemila i gruppi dei due Paesi hanno investito in Italia 16,2 miliardi di euro, terza piazza in Europa dopo Gran Bretagna e Germania, il giro d'affari delle società italiane controllate da soci cinesi e di Hong Kong è di 22 miliardi, i dipendenti sono 32.600.

E non abbiamo visto ancora tutti gli effetti degli accordi del “memorandum” che il governo Conte ha sottoscritto con i rappresentanti della Repubblica cinese.

Il 2021 vedrà la più vasta campagna di shopping internazionale degli ultimi 20 anni. I grandi gruppi faranno a gara per accaparrarsi le eccellenze made in Italy e tra questi vi saranno certamente anche quelli facenti capo allo Stato Cinese.

Riccardo Pedrizzi

www.riccardopedrizzi.it