La morte ed il dolore come dimensione umana

Roma 28 maggio 2022

Convegno “La” fine ed “il” fine della Vita. Dalla morte medicalmente assistita

all’assistenza al vivere.

 

“Un saluto a tutti, sono qui quanti hanno partecipato a Roma alla manifestazione nazionale “scegliamo la vita”. Vi ringrazio per il vostro impegno a favore della vita e in difesa dell’obiezione di coscienza il cui esercizio si tenta spesso di limitare, purtroppo negli ultimi anni c’è stato un mutamento nella mentalità comune e oggi siamo sempre più portati a pensare che la vita sia un bene a nostra totale disposizione, che possiamo scegliere di manipolare, far nascere o morire a nostro piacimento come l’esito esclusivo di una scelta individuale. Ricordiamo che la vita è un dono di Dio, sempre sacra e inviolabile e non possiamo far tacere la voce della coscienza.” (dal discorso di Papa Francesco).

Le cause del diffondersi di episodi come quelli di eutanasia, di suicidi assistiti, più in generale, di certi tipi di trattamento dei malati incurabili o terminali sono molteplici ed investono modi di pensare e concezioni del mondo e della vita, che si sono affermate, soprattutto nell’era contemporanea.

Esse vanno ricercate, al di là delle situazioni contingenti e dei singoli casi concreti, in atteggiamenti e comportamenti culturali che si sono andati diffondendo con e dopo la Rivoluzione francese attraverso modelli di vita, ideologie e dottrine libertari e radicali, che hanno come suprema istanza la libertà. Secondo queste ideologie e dottrine è lecito ed è eticamente accettabile tutto ciò che è liberamente voluto.

Si tratta, evidentemente, di una rivendicazione di una libertà senza vincoli e senza responsabilità che arriva ad un vero e proprio nichilismo, come nel caso del pensatore Herbert Mancuse, e che fa inaridire la stesa radice della libertà, allorquando si pone contro la vita, che è il presupposto ed il fondamento stesso della libertà.

Una libertà assoluta oltretutto, ma solo per chi è in grado di farla valere.

Certamente non per il nascituro, né per il malato terminale, che sono i più deboli ed i più esposti alla volontà, alle disposizioni, alle volte al dispotismo, del più forte.

In un contesto culturale ed ideologico di questo tipo, si spiegano le sempre più frequenti campagne di opinione per introdurre nel nostro ordinamento giuridico l’eutanasia ed il suicidio assistito.

E' evidente che l’accettazione culturale e giuridica dell’eutanasia o del suicidio assistito è un messaggio pericoloso non solo per la nostra società, ma anche per le future generazioni e per l’umanità intera, perché si tratterebbe di contribuire alla diffusione di quella che Giovanni Paolo II definiva “la cultura della morte”, che si manifesta anche in tanti altri ambiti come la morte per fame, per guerre, per violenze, ma che tutti sono riconducibili ad una scarsa valutazione della dignità della persona.

Al di là delle convinzioni religiose personali, infatti, non v’è dubbio che la vita debba terminare così come iniziata: naturalmente. Non può l’uomo impadronirsene. Non sta a lui decretarne la fine, per nessun motivo, fosse anche il più nobile. La vita è un bene indisponibile e intangibile, che non appartiene a nessuno di noi. Essa è un valore in sé, ha un significato ontologico che la rende indipendente dalla sua qualità e mai “inutile”. La vita è sempre degna di essere vissuta e non soltanto se è “sana”. Per questo lo Stato deve tutelarla sempre e comunque, e non a seconda dei casi.

L’eutanasia rientra, quindi, in un contesto che vede prevalere la tendenza ad apprezzare la vita solo nella misura in cui porta piacere e benessere, per cui la sofferenza appare come uno scacco insormontabile di cui occorre liberarsi ad ogni costo.

Per questo uno Stato che si rispetti ed una comunità che voglia definirsi civile, debbano incrementare sempre più la ricerca ed investire risorse consistenti, sicuramente superiori a quelle attuali, nella terapia del dolore, nelle cure palliative con l’obiettivo di ridurre e lenire al massimo le sofferenze di chi nel dolore è al termine della propria esistenza.

In quei momenti occorre fare in modo che nessun sia e si senta mai abbandonato a sé stesso, solo dinanzi al dolore ed al buio.

Occorre far sentire all’ammalato che la comunità gli è vicina, che la famiglia non lo abbandonerà mai, che i medici hanno fatto tutto quello che era nelle loro possibilità, che i servizi socio-sanitari sono stati efficienti.

In questo clima, con questo calore attorno difficilmente ci sarà chi potrà pensare di ricorrere all’eutanasia o al suicidio assistito.

 

Riccardo PEDRIZZI