Liquidità, quando ed a chi?

Ha lavorato per 20 anni come dirigente di una delle grandi banche del nostro Paese (una volta italiana) e per 4 legislature è stato Presidente prima della Commissione Finanze e Tesoro del Senato e poi Segretario della Commissione Finanze della Camera dei Deputati. Conosce bene, quindi, Riccardo Pedrizzi, i problemi del credito e gli aspetti positivi e negativi del sistema bancario italiano. Con lui vogliamo affrontare la questione dei finanziamenti previsti dal governo per rilanciare l'economia nazionale che, però, a distanza di mesi, continuano a non arrivare alle imprese, sopratutto alle PMI. E la vogliamo esaminare da un punto di vista puramente tecnico.

 

__________________

 

La chiamano liquidità, ma a ben vedere è più palude che acqua cristallina. Tra la pioggia di miliardi di prestiti promessi dal governo alle imprese italiane e la reale erogazione delle somme necessarie per andare avanti, c’è un mare melmoso di problemi di mezzo. Molte colpe sono del governo, che è del tutto staccato e lontano dalla realtà viva della nostra economia, altrettanto ne hanno anche tanta, troppa miope burocrazia “furbetta” degli istituti bancari.

Neanche la garanzia dello Stato agli aiuti chiesti dalle imprese italiane, che per cifre sotto i 25mila euro copre la totalità della cifra, ha fatto decollare lo strumento che il governo Conte aveva prediposto per dare ossigeno all’economia nazionale, asfissiata dal lockdown del coronavirus. Si era lasciato immaginare una “potenza di fuoco” di 400 miliardi di fondi che si sperava fossero a fondo perduto, c’era in realtà la modestia di una cifra molto inferiore (30 miliardi), da restituire e per di più dalla disponibilità tutt’altro che immediata.

Oggi, a quasi due mesi dal varo del decreto Liquidità, centinaia di migliaia di imprenditori non hanno visto un euro e si sono visti respingere o ostacolare in modo imbarazzante le richieste di prestiti dalle banche. Perché? Come?

Un solo numero: 21. Sono i documenti che in alcuni casi è necessario presentare solo per accedere all’istruttoria del prestito. Roba da numeri… al lotto, direbbero a Napoli. La Regione Lazio ad esempio per un proprio prestito di euro 10.000 ne chiede 19.

Molte banche, a differenza di quello che auspica ingenuamente Conte (che evidentemente non ha alcuna autorevolezza), ragionano con la mano sul portafoglio, non sul cuore. Anche perché sono loro a reggere il sistema, l’economia reale. Oggi la prudenza è tanta, troppa, nonostante il sostegno della Bce e le garanzie di Stato. Agli imprenditori che chiedono aiuto, vantando i termini del decreto, le banche oppongono rischi di conseguenze penali, che sulla carta esistono. Ma che esistono per tutti coloro che svolgono un’attività di pubblica utilità. E’ difficile pretendere che lo Stato, oltre alla volgar pecunia, possa garantire anche una immunità da codice penale, pur a fronte di un’emergenza.

Poi c’è la concorrenza, la spietata lotta alla conservazione di una clientela agonizzante. In quanti, tra gli industriali, piccoli e grandi, si sono visti rifiutare l’affidamento bancario da una banca perché clienti di un’altra banca? “Sa lei non è nostro correntista, ci dispiace, ma…”. Tanti, tantissimi. Al punto che alcune banche hanno fatto inserire una clausola nella quale chi firma dichiara di non aver alcun rapporto con altre banche.

Nulla di questo era scritto nel decreto Liquidità sia chiaro. Molte banche hanno o stanno operando a braccio, anzi, a braccino corto.

Altro comportamento poco opportuno praticato da certe banche è la richiesta spesso fatta al cliente di rinegoziare il finanziamento in essere (di solito uno scoperto di c/c o un conto anticipo fatture, lavori ecc.) già in corso. Cosa significa? Che la banca ingloba nel finanziamento garantito dallo Stato la somma già erogata all’imprenditore e concede, come liquidità, solo la cifra che eccede rispetto alla precedente esposizione.

In pratica la banca accolla allo Stato il rischio di credito, trasformando un credito chirografario in un credito garantito dallo Stato, quindi sicuro.

Vi è poi un'altra pratica/atteggiamento forse ancora più grave che si configura con la sospensione della istruttoria già in corso per affidamenti a grandi imprese da concedere quando ancora non esisteva alcuna emergenza, tanto meno il blocco delle attività. Mi spiego, prima della crisi molte banche, di propria iniziativa, offrivano affidamenti a grandi imprese anche multinazionali quotate in borsa. Arrivata la bufera hanno bloccato l'istruttoria, nonostante il grande merito creditizio per poter istruire l'affidamento e/o il finanziamento con l'assistenza della nuova garanzia dello Stato, spesso ridimensionando la precedente loro stessa offerta. Oltretutto a tassi che ci penalizzano se è vero che da noi viaggiano ad oltre il 2,5% mentre in Germania sono fermi all'1,5% per i prestiti oltre i 25 mila euro. In pratica molti istituti stanno “aggiustandosi” le proprie situazioni interne accollandole allo Stato e quindi a tutti noi cittadini.

Ma le distorsioni del sistema bancario coinvolgono anche le persone normali, i cittadini in difficoltà, quelli che si rivolgono al Monte dei Pegni (spesso controllati dalle stesse banche) e che sono costrette, a fronte di somme modeste, a pagare interessi fino al 2% mensile, che su base annua prefigurano interessi usurari del 24%. E nessuno interviene, nemmeno la Banca d'Italia.

Ma il problema è anche politico, di comando, di classe dirigente, già emerso a livello europeo nelle malinconiche trattative al ribasso sul cappio del Mes, fino al patetico appello del premier lanciato alle banche affinché facciano “un gesto d’amore” mettendosi una mano sul cuore. Come se l’economia fosse un affare da posta del cuore…

Immaginate un leader della Prima Repubblica o anche della Seconda come si sarebbe comportato.

Alcide De Gasperi, Giulio Andreotti, Amintore Fanfani, Aldo Moro, Antonio Segni, Francesco Cossiga, Giovanni Spadolini, Bettino Craxi, Giuliano Amato, Massimo D'Alema ecc. ecc., tanto per citarne qualcuno, avrebbero convocato il Governatore della Banca d'Italia e/o il Presidente dell'Abi, (Associazione Bancaria Italiana) ed avrebbero fatto presente loro con garbata “moral suasion” cosa si sarebbero aspettato e se non lo avessero capito gli avrebbero detto loro cosa fare e quale corretto comportamento avrebbe dovuto tenere un settore cosi strategico per l'economia nazionale. Altro che chiedere di “passarsi la mano sul cuore”. Ma la distanza tra la statura dei personaggi in questione ed i governanti di oggi è troppo evidente per avere dei dubbi e per doverla sottolineare.

Per fortuna, o meglio per merito della cosiddetta biodiversità del nostro sistema bancario, esistono però delle eccezioni e sono quelle rappresentate dalle banche cosiddette di prossimità ed in particolare dalle Banche Popolari.

Anche a marzo, caratterizzato dal lockdown, ad esempio, questi Istituti hanno registrato andamenti positivi. I coefficienti di patrimonializzazione si sono attestati al 16,4% ampiamente al di sopra del requisito minimo richiesto dalla vigilanza prudenziale e con un significativo grado di omogeneità tra i diversi istituti, a conferma di una solidità diffusa. Gli impieghi (cioè il credito erogato) sono aumentati a marzo del 2,1%, interessando sia la clientela famiglie (+2,8%), sia la clientela imprese (+1,8%). Sul lato della raccolta è proseguito l'incremento dei depositi, cresciuta in 12 mesi del 5,8%.

Riccardo Pedrizzi

 

RASSEGNA STAMPA

Osservatorio Politico Internazionale - Liquidità, quando ed a chi?