Maurras, il gigante monarchico

Il pensatore che caratterizzò i controrivoluzionari dell'inizio del XIX secolo erano stati chiamati “difensori del Trono dell'Altare”, perché volevano ripristinare l'antico rapporto organico tra le due entità e principalmente perché avevano una concezione teocratica della società e dello stato; qualcuno addirittura coniò per loro il termine di “ultramontani”, quasi a voler significare che erano più attenti e pensosi dell'aldilà che della realtà terrena che li circondava e per sottolineare vieppiù il fondamento teologico che caratterizzava le loro dottrine e le loro argomentazioni ancorché strettamente politiche.

In effetti, negli scritti di un de Maistre, di un de Bonald non si sa mai fino a che punto arrivi l'analisi storica, politica e sociale e dove, invece, entri in gioco la fede religiosa con le sue verità dommatiche. E ciò perché, evidentemente, tutti questi autori si sentivano ancora partecipi con tutto se stessi, con i loro sensi, la loro ragione, la loro forma mentis, di una realtà che è, ormai solamente per questi campioni del Cattolicesimo, tutta teologica e per niente positiva e storica.

Realtà che, qualunque cosa si fosse tentato di fare, qualsiasi Restaurazione si fosse operata, qualsiasi Santa Alleanza si fosse messa in piedi, era ormai in movimento e tanto velocemente che ben presto caddero nel dimenticatoio tutti i rappresentanti di quella che era stata chiamata, appunto, l'età teologica.

Sì, perché bisogna pur dire che bastò appena un decennio per spegnere e disperdere tutto quel fermento culturale che si risvegliò all'atto ed in conseguenza del Congresso di Vienna, proprio perché esso restò espressione di un mondo che stava scomparendo definitivamente.

Prendiamo solo un esempio: l'Italia. La nascita del movimento ultramontano italiano può farsi risalire intorno al 1820 21. Eppure già verso il 1931 il movimento comincia a frantumarsi, a perdere terreno, addirittura ad essere osteggiato da molti dei governi restaurati e dalla stessa Chiesa cattolica.

Dopo questo periodo, detto della reazione della seconda ondata, nulla più. La controrivoluzione non ebbe più alcun esponente di grosso rilievo ed il Trono e l'Altare non ebbero più, fino a Charles Maurras, grandi difensori.

Maurras, infatti, nel clima stagnante dalla III Repubblica con il suo parlamentarismo grigio ed irresponsabile, i suoi intrallazzi ed i suoi scandali, riuscì con l’opera «Enquête sur la Monarchie» a portare un soffio d'aria pura nella vita politica francese a cavallo del XIX e del XX secolo, mutando, come disse Léon Daudet «l'orientamento politico di tutta la gioventù pensosa della Francia e restaurando l'idea monarchica ed un'attiva dedizione al sovrano».

E' infatti proprio “l'Enquête”, apparsa inizialmente in tre volumi tra il 1900 ed il 1903, a dare all'Action Française la sua base dottrinaria ed i suoi orientamenti di fondo, in poche parole a dare al mondo monarchico i contenuti che in seguito saranno sviluppati e sistemati in molte altre opere, prima fra tutte in «Mes idées politiques» necessari per passare finalmente al contrattacco.

Naturalmente oggi dall’opera di Maurras   va subito sottolineato   occorre estrapolare la parte propriamente revancista e strettamente nazionalistica che poteva avere un qualche senso solamente nel secolo XIX e nel XX secolo.

Come pure ci pare inutile soffermarci diffusamente in questa sede sulla critica che l'Autore muove al sistema democratico parlamentare.

Basterà qui solamente ricordare la mirabile intuizione che egli ebbe nel distinguere tra «paese legale» e «paese reale», intendendo per «paese legale» il complesso delle sovrastrutture parlamentari, burocratiche, amministrative, impersonali ed irresponsabili che pretenderebbero   e non lo fanno   di guidare e governare; «il paese reale» con le sue aspirazioni, le sue speranze, le sue competenze professionali, i suoi problemi, le sue autonomie, le sue tradizioni, i suoi sentimenti; un paese reale che non è altro che il sangue, la carne, lo spirito di una nazione.

Quel che, invece, ci preme, in questa occasione, mettere in evidenza dell'impianto dottrinario di Charles Maurras è la parte, diremmo così, positiva e costruttiva della sua proposta politica, che si incentra su alcuni punti fondamentali e caratterizzanti che si possono grosso modo riassumere in questi:

a) ripristino dell'ordine;

b) decentralizzazione;

c) monarchia tradizionale ed antiparlamentare.

Per quanto riguarda il primo punto, quello cioè inerente all'ordine, dobbiamo subito dire, per sgombrare il terreno da possibili equivoci, che il pensatore francese non ha mai avuto di vista un ordine qualsiasi, un ordine, cioè, di superficie; vale a dire non ha mai inteso il problema di riportare l'ordine nella Francia del suo tempo senza precisare di che ordine si tratti, di che colore, con quali uomini e con quali partiti, sulla base di quali contenuti si sarebbe dovuto realizzare.

Maurras, invece, capì bene   e non è stato mai capito dai benpensanti di tutti i tempi e meno che mai dei nostri tempi   che il problema della restaurazione dell'ordine è strettamente collegato a quello della restaurazione di alcuni valori ed, inoltre, che l'ordine non può non essere «conforme alla natura della nazione francese e alle regole della ragione universale».

Ma veniamo al secondo caposaldo del pensiero del Nostro: la decentralizzazione.

Gli storici moderni hanno sempre ritenuto che il fenomeno della decentralizzazione fosse il portato logico   ed invece è proprio il contrario, avendo la democrazia introdotto il centralismo burocratico   delle libertà democratiche.

Va ascritto a merito, invece, dei de Maistre, dei de Bonald, degli stessi Chateaubriand e Lamennais, di aver appuntato tutti i loro strali più efficaci proprio contro il centralismo statalistico, propugnando il ritorno alle più ampie autonomie locali e dei singoli corpi ed ordini naturali, come premessa indispensabile per una rinascita aristocratica ed una restaurazione monarchica.

Proprio per questo Maurras auspica la formazione di una miriade di repubbliche: repubbliche domestiche come le famiglie, repubbliche locali come i comuni, repubbliche morali e professionali come le associazioni e le corporazioni, che tutte dovranno amministrarsi liberamente e senza alcuna ingerenza dello Stato, che dovrà solamente indirizzarle e coordinarle.

E qui necessariamente si pone il discorso sul vertice dello Stato e, quindi, sul terzo aspetto fondamentale della proposta politica maurrassiana: la monarchia tradizionale.

Per delineare, seppur brevemente, lo Stato che ha di vista Maurras non possiamo a questo punto tralasciare la critica che rivolge al mondo della democrazia e, più particolarmente, al mondo dei partiti politici che rappresentano la struttura portante del parlamentarismo repubblicano. (Per queste ed altre notizie vedi il mio “I Proscritti: Pensatori alla sfida della modernità” cap. VIII, edito da Pantheon, 252 pagg. 15,00 euro. Dal quale si possono trarre ulteriori informazioni su Maurras sul quale viene anche fornita un'esaustiva bibliografia.)

Nemmeno, del resto, possiamo tralasciare di menzionare appena le soluzioni che il Nostro suggerisce per risolvere la questione sociale e per riportare la pace fra le classi, presupposto questo necessario per la restaurazione dell'ordine naturale.

Perciò va subito preso atto che «non v'è un male solo, il proletariato. Vi sono due mali: il proletariato e il capitalismo. Dal loro raffronto risulta l'idea del loro comune antidoto. Quale antidoto? L'incorporazione del proletariato alla società ad opera di forze politiche e morali diverse dal capitale: le forze del Governo ereditario, della Corporazione e della Religione, le quali sottrarranno al Capitale il suo ISMO dispotico, impedendogli di regnare da solo».

Da ciò, come conseguenza logica, la Monarchia antiparlamentare e tradizionale.

Antiparlamentare e tradizionale perchè da un canto egli nega validità alle impalcature stesse della democrazia, i partiti politici, dall'altro propone l'istituzione delle rappresentanze di tutti i corpi sociali e morali della nazione: dalle corporazioni professionali alle Camere di commercio ed industria, dalle Accademie delle arti e delle scienze e della cultura agli ordini religiosi e militari, dalle province e dai comuni alle famiglie.

E non è a dire che quelle maurrassiane siano solamente delle soluzioni «tecniche», in quanto con esse si attaccano dalle fondamenta le stesse concezioni giacobine e rivoluzionarie dell'uomo, della società e dello Stato. Infatti quando si afferma, come egli afferma, che «la comunità nazionale, la Patria, lo Stato non sono delle associazioni sorte da una scelta personale dei loro membri, ma opere della natura e delle necessità»; quando si ammette, come egli ammette, che «l'utile della Francia non è formato da un certo numero d'individui viventi ad un dato momento ed aventi in comune certe idee e certi interessi effimeri, ma bensì da un certo numero di famiglie che si distendono di età in età e che hanno in comune certi interessi permanenti: interessi di terre da difendere, di famiglia da perpetuare, di capitale economico e morale da sviluppare»; allora non vi può essere alcun dubbio che egli contesta non solamente la degenerazione del parlamentarismo ma anche tutte le sue filosofie egalitariste e libertarie.

Infine la figura e la funzione del Re.

A questo punto dovrebbe essere chiaro che il vertice dello Stato, rappresentato dal Re, non ha affatto caratteristiche dispotiche ed accentratrici, tantomeno velleità populistiche e bonapartiste, la problematicità e la delicatezza del problema dei rapporti intercorrenti tra libertà ed autorità essendo sempre presente nel pensatore francese.

In conclusione possiamo dire senza tema di smentite che per Charles Maurras, come del resto, per tutto il miglior pensiero controrivoluzionario europeo, il Re tradizionale non è né tiranno né fantoccio e si serve della macchina statale solo per coordinare, indirizzate le varie forze sociali, non prescindendovi né restandovi strumento. Insomma, come disse «Mirabeau, «il Re è là, come il sole al centro del suo sistema; esso da luce, vita, calore».

Luce, vita e calore che sarebbero tanto necessari al mondo ed all'uomo moderno.

Riccardo Pedrizzi