Papini, l'atleta di Dio

Molte delle pagine lasciate da Paipini sono autobiografiche: dalla prima infanzia alla maturità, dall'esordio come scrittore alle prime escursioni a Pisa e sull'Appennino, con Morselli, ed a Parigi, con Soffici, dall'emozionante incontro con il vecchio Carducci alle sensazioni provate in occasione della sconfitta di Adua e dell'assassinio di Umberto I, e poi ancora, molte sono le pagine dedicate alle esperienze intellettuali maturate con la nascita de «Il Leonardo», alla famiglia, al suo itinerario spirituale e, soprattutto, alla sua conversione. (Questo articolo è tratto in parte dal cap. XIII del libro di Riccardo Pedrizzi “I proscritti. Pensatori alla sfida della modernità” - Editoriale Pantheon)

Mentre le testimonianze sulla continuità dell'ispirazione poetica, sulla perseveranza nella fede e sulla visione della superiorità dello spirito sulla materia sono raccolte prevalentemente in «Schegge», «La spia del mondo» e «La felicità dell'infelice».

«Mi stupiscono, talvolta, coloro che si stupiscono della mia calma nello stato miserando al quale mi ha ridotto la malattia. Ho perduto l'uso delle gambe, delle braccia, delle mani e sono divenuto quasi cieco e quasi muto… Ma non bisogna tener in picciol conto quello che mi è rimasto ed è molto ed è il meglio… Ho sempre la gioia di poter ascoltare le parole di un amico, la lettura di una bella poesia o di una bella storia, posso sentire un canto melodioso o una, di quelle sinfonie che danno un calor nuovo a tutto l'essere. E tutto questo non è nulla a paragone dei doni ancor più divini che Dio mi ha lasciato. Ho salvato, sia pure a prezzo di quotidiane guerre, la fede, l'intelligenza, la memoria, l'immaginazione, la fantasia, la passione di meditare e di ragionare e quella luce interiore che si chiama intuizione o ispirazione. Ho salvato anche l'affetto dei familiari, l'amicizia degli amici, la facoltà di amare anche quelli che non conosco di persona e la felicità di essere amato da quelli che mi conoscono soltanto attraverso le opere... Se io potessi muovermi, parlare, vedere e scrivere, ma avessi la mente confusa e ottusa, l'intelligenza torpida e sterile, la memoria lacunosa e tarda, la fantasia svanita e stenta, il cuore arido ed indifferente, la mia sventura sarebbe infinitamente più terribile.

Sarei un'anima morta dentro un corpo inutilmente vivo. A che mi varrebbe possedere una favella intelligibile se non avessi nulla da dire? Ho sempre sostenuto la superiorità dello spirito sulla materia; sarei un truffatore e un vigliacco se ora, arrivato al punto della riprova, avessi cambiato opinione sotto il peso dei patiri. Ma io ho sempre preferito il martirio, all'imbecillità».

C'è da dire, a questo punto, che molti critici in questi decenni hanno pensato bene di presentare Papini solamente come scrittore e poeta, limitandone la parte teologica e “politica”, e di far emergere quanto più possibile solamente la sua vena poetica e sottolineando la componente sentimentale e l'atteggiamento vagamente e tristemente nostalgico dello scrittore «al di là delle ubriacature filosofiche e delle avventure dell'intelligenza».

Questa operazione di vera e propria manipolazione del pensiero ci ha così, riuscendovi, presentato un Papini ad una dimensione o, quantomeno, non completo; così come non complete appaiono in generale le schede sulla sua vita e le sue opere, che, tendono sempre ad occultare il ruolo avuto dallo scrittore quale, «atleta di Dio» nella difesa del cattolicesimo tra le due guerre mondiali.

In effetti da quasi tutte le opere scritte su Papini non emerge quasi mai il personaggio che ai primi del Novecento fu parte viva e protagonista (ad esempio, passando in rassegna filosofie e scrittori con le famose «stroncature») di quel movimento filosofico, letterario e politico, che promosse lo svecchiamento della cultura e della vita italiana, concependo la letteratura come «azione».

Come pure è stata di solito ignorata la produzione più propriamente “impegnata”, anche se poi è impossibile ignorare la sua collaborazione al «Frontespizio», intorno alla quale si mossero, tra il 1931 ed il 1942, cattolici come Piero Bargellini, Guido Mariacorda e Domenico Giuliotti. Tantomeno ci si ricorda di citare almeno la rivista fiorentina «L'ultima», che fu fondata da Papini e diretta da Adolfo Oxilia, in questo ultimo dopoguerra.

Ciononostante ci sembra degno di segnalazione il fatto che dopo anni di silenzio si ricomincia a parlare ed a pubblicare qualche opera di uno scrittore «scomodo» come Giovanni Papini.

Riccardo Pedrizzi

www.riccardopedrizzi.it