Quando la politica si impegnava sui principi non negoziabili: la sussidiarietà

Era il dicembre del 1998 quando più di un milione di firme, tra le quali vi erano quelle di leader politici come Berlusconi, Fini, Cossiga, Buttiglione e Casini, di tre ministri, 12 sottosegretari, 240 deputati, 100 senatori, 41 tra vescovi ed arcivescovi, 62 organizzazioni imprenditoriali e sindacali e centinaia di associazioni di volontariato venivano consegnate al Presidente della Camera, Luciano Violante, per chiedere che venisse applicato nel nostro ordinamento giuridico e promosso nei rapporti tra lo Stato e la società civile il principio di sussidiarietà. Si trattava di una di quelle iniziative che era solito intraprendere il mondo cattolico.... quando contava.

Quel principio, cioè, che impone alle istituzioni, in genere, ed allo Stato, in particolare, di svolgere una funzione di supplenza, quando è necessario, e di aiuto, quando è richiesto, alla vita ed alla crescita della persona e della società, continua anche ai nostri giorni ad essere del tutto inapplicato come ha dimostrato anche la tragica vicenda del coronavirus.

Eppure quasi tutti, anche oggi, singoli, forze sociali, economiche e politiche riconoscono, passata la sbornia ideologica che ha avvelenato il XX secolo, che sia la persona che le formazioni sociali in cui essa si sviluppa, prima fra tutte la famiglia, hanno diritti che sono anteriori alle leggi ed allo stesso Stato che deve semplicemente prenderne atto e riconoscerli.

Da qui deriva un ordinamento giuridico e normativo nel quale singoli e gruppi hanno diritti e spazi di libertà che lo Stato deve solo limitarsi a tutelare e promuovere.

Da qui discende, inoltre, che l'intervento dello Stato nella vita personale, familiare e sociale non può essere né assoluto, né illimitato, né giustificato quanto oltrepassi il limite del rispetto dei diritti, delle libertà e delle finalità naturali delle persone e delle comunità umane (i cosiddetti corpi intermedi della società).

Tale intervento è, invece, necessario ed auspicabile ogniqualvolta singoli e gruppi non siano in grado, da soli, di esercitare i propri diritti e di raggiungere i propri obiettivi.

Si tratta, in questo caso, del principio di sussidiarietà “positiva”, o “promozionale”, che impone allo Stato di intervenire per incentivare l'autonomia dei soggetti sociali e per aiutarli a raggiungere le proprie finalità, rimuovendo gli eventuali ostacoli.

Mentre lo stesso principio di sussidiarietà, nella sua accezione “negativa”, o “positiva”, impedisce allo Stato di violare la sfera di libertà delle persone, della famiglia o degli altri corpi intermedi della società o, comunque, di sostituirsi ad essi nella realizzazione dei loro scopi.

Corollario del principio di sussidiarietà è che il compito di affrontare e la responsabilità di risolvere qualunque problema individuale o sociale risiedono prima di tutto nella comunità umana più vicina al problema stesso.

Questa concezione la troviamo, tutto sommato, sancita nella nostra Costituzione: nel significato “protettivo” all'articolo 2, (“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti individuali dell'uomo, sia come singolo, sia nella formazione sociale ove si svolge la sua personalità”) ed all'articolo 29 (“La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”); nel senso “promozionale” all'articolo 3, il Comma (“La Repubblica ha il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana”) ed all'articolo 30 (“nei casi di incapacità dei genitori, la legge prevede che siano assolti i loro compiti”); nell'eccezione sia “protettiva” che “promozionale” all'articolo 5, (La Repubblica riconosce e promuove le autonomie locali).

Ma di fatto questo principio è stato espunto, espulso e disatteso dalle relazioni e dalla vita sociale del nostro Paese, per il prevalere di logiche centralistiche e statalistiche: dalla organizzazione dello Stato alla burocrazia, della quale tutti si lamentano per l'applicazione e la realizzazione di tutti i provvedimenti necessari a superare la crisi; dalla economia alla scuola, della quale si continua a disconoscere il pluralismo rappresentato dalle scuole paritarie; dalle politiche familiari praticamente inesistenti, se non per riconoscere diritti ad unioni più o meno arcobaleno e stravaganti, a quelle in favore di tutti gli altri gruppi sociali naturali o volontari come quelli rappresentati dal Terzo settore.

Lo Stato, infatti, fino ad oggi ha fatto e continua a fare di tutto ed a occupare spazi di libertà che non gli sono propri. E lo dimostra la dimensione del bilancio statale che tende sempre più a crescere, cosi come tutte le risorse gestite dal settore pubblico.

Ciò significa che lo Stato tarda ad uscire da molti settori ed è restio a trasformare il proprio ruolo e la propria funzione da produttore di servizi a quella di regolatore e di controllore, come dovrà avvenire ora con il sostegno alle imprese colpite dal Covid-19.

Perché tutto ciò avvenga veramente non basta perciò, al punto in cui siamo, limitarsi ad introdurre nel nostro ordinamento il principio di sussidiarietà solamente nella sua dimensione “verticale”, che si ridurrebbe (cosi come sembrava si volesse fare nella Commissione Bicamerale per le riforme istituzionali con l'articolo 56) ad un decentramento delle funzioni dal centro alla periferia (federalismo), ma occorre puntare anche e sopratutto sull'aspetto “orizzontale”, che esalta le iniziative e rende fecondo il ruolo delle singole persone e dei gruppi sociali, a cominciare dalla famiglia.

Proprio per questo tutti coloro che credono – come i cattolici – nel primato della persona e nella sua priorità ontologica rispetto alle istituzioni devono fare, nella pienezza di tutte le sue potenzialità, del principio di sussidiarietà, peraltro già adottato e vigente nell'ambito della Comunità Europea, un fondamentale criterio di giudizio e di riferimento per la propria azione politica e sociale.

Riccardo Pedrizzi