Draghi, un fisco per la famiglia

Nelle comunicazioni presentate in Senato per la fiducia, Mario Draghi, illustrando il tema delle riforme, previste dal Next Generation EU, ha affrontato quello del fisco, rimasto del tutto dimenticato dal precedente esecutivo.

“Il sistema tributario è un meccanismo complesso, - ha detto il Premier - le cui parti si legano l'una all'altra, per cui interventi parziali, come in passato, risultano deleteri e avvantaggiano soltanto i gruppi di pressione, con elusione ed evasione fiscale. Serve una riforma fiscale globale - ha proseguito Draghi - essa segna un passaggio decisivo, indica priorità, dà certezze, offre opportunità, è l'architrave della politica di bilancio”.

Anche il riferimento fatto dal Presidente del Consiglio alla Commissione di esperti in materia fiscale, che nel 2008, in Danimarca, varò una riforma del fisco, con l'abbassamento della pressione fiscale ed alla Commissione di esperti, che preparò, agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso, il superamento della riforma Vanoni del 1951, con l'introduzione dell'IRPEF e del sostituto di imposta per i redditi da lavoro dipendente rappresentano segnali molto importanti. Oltretutto è proprio il Next Generation Eu che dispone che una parte dei fondi sia utilizzata in questa direzione. Dunque bisognerebbe cominciare a mettere in cantiere una riforma che, senza rinunciare alla progressività, semplifichi e razionalizzi l'intera architettura, riducendo progressivamente il carico fiscale generale, per favorire la crescita economica del Paese.

E potrebbe veramente essere questa l'occasione per restituire centralità alla famiglia risultando anche sostenibile per le casse dello Stato.

L’obiettivo di una riforma fiscale che parta dalla modulazione delle imposte sulla base della composizione dei nuclei familiari può rappresentare, infatti, il punto d’incontro tra esigenze diverse, politiche e sociali, che oltretutto può trovare - per una volta – anche uno sbocco bipartisan in sede parlamentare.

Di quoziente familiare si parla da anni e sebbene la proposta nasca da una visione economica e sociale marcatamente cattolica, non lascia indifferenti neanche altri settori della vita politica italiana, rappresentando attualmente una indubbia necessità per cittadini alle prese con gli effetti persistenti di una crisi devastante, la cui fine non accenna a vedersi all'orizzonte.

Una crisi che proprio a causa della pandemia nell'ultimo anno s’è scaricata soprattutto sulle famiglie italiane, come dimostrano gli ultimi indicatori economici che hanno rilevato, per esempio, come sia aumentato a dismisura la percentuale di disoccupati, ed ancora si prevede ce ne saranno dopo lo sblocco dei licenziamenti; che l'indice di povertà si è alzato notevolmente coinvolgendo milioni di famiglie, sopratutto quelle numerose. Ma anche sul fronte della spesa e del risparmio le cose non vanno meglio, se si considera che nelle famiglie italiane il potere d’acquisto è calato nell’ultimo anno del 5,6%, con un contestuale crollo dei consumi dell'11,5%, cioè meno 80 miliardi di Euro secondo il Codacons e meno 3.054 per ogni famiglia. Si sta rinunciando così a beni di prima necessità e perfino al cibo ed alle medicine necessarie a curarsi per non parlare di tutti gli altri beni che rendono la vita appena vivibile.

A questa tragedia immane si aggiunga che già nel passato l’Italia era tra i paesi europei che destinano la quota più bassa del proprio Pil a sostegno dei nuclei familiari.

Tutto ciò contribuisce a frenare pesantemente la natalità, al cosiddetto inverno demografico, che solo recentemente qualcuno anche ai massimi vertici delle nostre istituzioni, sembra accorgersene. Da sempre è penalizzata la famiglia italiana da fattori strutturali, come la bassa percentuale di donne inserite nel mondo del lavoro. E' paradossale, ma è così: poche donne lavorano e poche donne fanno figli. E questo sopratutto nel Mezzogiorno d'Italia, dove i figli una volta rappresentavano l'assicurazione per la vecchiaia.

Ecco perché da più parti si è sempre spinto per l’introduzione di una metodologia di imposizione fiscale basata proprio sul quoziente familiare. Un’idea alla quale hanno lavorato da decenni intere generazioni di esponenti del mondo cattolico, ad iniziare dalla mitica presidente del Forum delle Associazioni Familiari, On.le Luisa Capitanio Santolini, spesso invitata da chi scrive in audizione presso la Commissione Finanza e Tesoro del Senato ogni qualvolta si intravedesse la possibilità di mettere mano ad una riforma fiscale. Del resto già molte amministrazioni comunali hanno introdotto un sistema per rimodulare le tariffe di accesso ai servizi comunali a seconda del numero dei figli a carico, della presenza di anziani, di disabili o di minori in affido, di uno o entrambi i genitori anziani e della situazione occupazionale.

Già qualche anno fa, chi scrive, da presidente della Commissione Finanze del Senato, si era battuto in tutte le Finanziarie per ridurre il prelievo fiscale sui redditi e per introdurre il quoziente familiare, riequilibrando anche il tradizionale svantaggio delle famiglie monoreddito.

Ieri come oggi la priorità resta, dunque, un intervento legislativo che incrementi la deducibilità degli oneri sostenuti per i figli a carico e incentivi in maniera consistente e strutturale almeno la nascita del secondo figlio con specifiche misure di sostegno.

Con l’attuale sistema di tassazione, infatti, la famiglia come soggetto, anche economico, non esiste. E così un single che guadagna 40.000 euro l’anno viene tassato allo stesso modo di un capo-famiglia che ha a carico una moglie e 2 o più figli. E’ un esempio spicciolo ma illuminante, su cui tutte le forze politiche, nessuna esclusa, e questo governo in prima linea, dovrebbero riflettere.

Guardare al futuro, certo, ma non a parole e anche e soprattutto guardare alle famiglie aiutandole a mettere al mondo bambini e bambine.

 

Riccardo PEDRIZZI

www.riccardopedrizzi.it

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